Roma, 13 gennaio 2025 – La verità è che come sempre ci sottostimiamo. E allora forse è meglio farlo dire agli altri: il ‘Vat gap in Eu 2024’, presentato a Bruxelles negli ultimi giorni di dicembre, dice che non è il nostro paese la patria degli evasori fiscali. A fare peggio di noi, con l’Iva, sono nell’ordine: la Romania, la Grecia, la Croazia, la Slovacchia, e fin qui i maligni potrebbero dire che non c’è niente di che festeggiare. Ma evadono più di noi anche il Belgio di Maastricht e la nordica Lituania, per dire, mentre la Francia che pure ci supera è ben più vicina a noi che all’integerrima Austria o alla Germania.
Il report Ue
L’indice in questione, espresso in percentuale, è riferito al 2022, ultimo anno disponibile, si chiama Vat compliance gap e indica la differenza stimata tra le potenziali entrate Iva nel caso in cui tutti pagassero e l’importo effettivamente riscosso dalle autorità fiscali locali. L’Italia è un 10,6%, il Belgio l’11%, la Lituania il 14,6%. L’Olanda è al 7,9%, la Francia ha il 6%, più vicine a Roma che al 3% di Vienna o al 4,3% di Berlino. La Romania, per dire, evade per il 30,6%, il più virtuoso è il Portogallo con un incredibile 1,3%.
Chi ha recuperato di più
L’altro dato interessante è quello in prospettiva. Mostra lo sviluppo di questo gap dal 2018 al 2022, appunto, con diverse sorprese inattese. Ci dice ad esempio che a peggiorare maggiormente nei 5 anni considerati sono stati gli svedesi, che hanno guadagnato 3 punti percentuali di gap, dunque hanno perso contribuenti e guadagnato evasori. Peggio hanno fatto soltanto sloveni (4,7%) e croati (4,6). L’Italia, in questa slide è tra i primi della classe, avendo ridotto il proprio gap di un mastodontico 11,1%, seconda solo alla Grecia che ha perso l’11,7.
Il caso Italia
Il focus sull’Italia ci dice che nel 2022, il gettito Iva totale è stato di 138.533 milioni di euro. Il divario tra le entrate potenziali e quelle reali è stato stimato in 16.346 milioni di euro, appunto il 10,6% dell’imposta totale dovuta, rientrato di 0,3 punti percentuali rispetto al 2021. Se si guarda ai cinque anni, invece, il divario è diminuito di ben 11 punti percentuali, essendo stato registrato al 21,6% nel 2018. Un ottimo risultato se si valuta che ‘storicamente il gap in Italia è stato tra i più alti nell’Unione Europea’, come spiega Grzegorz Poniatowski, economista polacco di Syntesia, che ha realizzato il report. ‘Prima del 2017 - continua infatti l’analista - il ‘Vat compliance gap’ italiano fluttuava tra il 25% e il 30%’. Ciò vuole dire che il mancato gettito di Iva rispetto al suo potenziale è arrivato ad ammontare a un terzo del totale.
2021, anno d’oro
Se si guarda lo storico del gap nel pagamento dell’Iva di nota un calo costante a partire dal 2013 fino ad oggi, con un balzo gigantesco nel 2021, quando lo Stato ha rosicchiato il 10,7 del divario tra introiti potenziali e introiti reali di Iva. Difficile identificare con chiarezza strumenti e settori che hanno potuto contribuire a questo risultato. Accanto a elementi di carattere generale, dunque non specifici italiani, ci sono ovviamente le misure di contrasto all’evasione, gli sforzi amministrativi e le condizioni economiche più favorevoli.
Il ruolo del superbonus
Se si guarda allo specifico del caso italiano, però, qualche freccia utile alla causa gli analisti di Syntesia tendono a riconoscere. Ad esempio l’aumento esponenziale dei pagamenti elettronici, che proprio nel 2021, complice la pandemia, nel nostro Paese sono cresciuti del 22% toccando quota 327 miliardi di euro. E due anni prima, nel 2019, l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria. E soprattutto, a sorpresa, l’introduzione del Superbonus 110% che, spiega Poniatowski "ha probabilmente contribuito ad aumentare la compliance nel settore delle costruzioni, perché le aziende hanno cercato di beneficiare degli incentivi fiscali". Certo, bisognerà aspettare i comportamenti degli anni successivi al 2022. E sarà una buona prova del nove, conclude l’analista. Se infatti "il gap dovesse tornare ai livelli pre-pandemia e pre-superbonus, scenario di cui stiamo già osservando alcuni segnali iniziali, ciò suggerirebbe che la diminuzione non è stata guidata da miglioramenti sostenuti nel tempo nelle abitudini dei contribuenti, ma piuttosto da circostanze eccezionali e dalle misure menzionate in precedenza".
Come sarebbe se
Resta un dato numerico, dunque poco opinabile. Se anche solo raggiungessimo il gap medio sul pagamento dell’Iva, entrerebbero magicamente 5 miliardi di euro in più nelle casse dello Stato. Se invece raggiungessimo la media Ue del ‘Policy gap’ sull’Iva, ovvero riducessimo le esenzioni e le riduzioni di aliquote la cui applicazione, ammette Poniatowski, "in Italia è relativamente ampia" pur essendo "un’arma a doppio taglio, poiché stimola al pagamento determinati settori ma riduce anche le entrate generali derivanti dall’Iva", allora il nostro Paese potrebbe contare su 20 miliardi di euro di entrate in più. Certo, a patto che i contribuenti paghino.