Lunedì 23 Dicembre 2024
VITTORIO BELLAGAMBA
Economia

Il Pil prodotto in Italia, ogni giorno, è pari a 5,8 miliardi

L’importante ruolo svolto dalle piccole e medie imprese

Pil prodotto ogni giorno in Italia è pari a 5,8 miliardi

Milano, 8 giugno 2024 – In Italia, ogni giorno, viene creato il Pil per un controvalore di 5,8 miliardi di euro che, convenzionalmente, è misurato attraverso la somma dei beni e dei servizi finali generati in un determinato arco temporale. Si dice interno perché si riferisce a quello che viene generato sia da imprese nazionali sia da imprese estere presenti in una determinata area geografica. Questi 5,8 miliardi corrispondono a 99 euro giornalieri per ogni cittadino italiano, neonati e ultra centenari compresi. Questo emerge da un'analisi del Centro Studi della Cgia.

Le differenze tra le varie regioni

Le differenze regionali sono particolarmente evidente. In Trentino Alto Adige il Pil per abitante giornaliero è pari a 146 euro, in Lombardia è di 131,8, in Valle d’Aosta di 130,1, in Emila Romagna di 118,9 e in Veneto di 110,8. Per contro, in Campania il Pil pro capite al giorno è di 63,4 euro, in Sicilia di 60,1 e in Calabria di 57,9. Dal confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea scontiamo un gap importante, soprattutto nei confronti dei Paesi del Nord Europa. Se in Lussemburgo la ricchezza giornaliera per abitante è di 336 euro, in Irlanda è di 266, in Danimarca di 179, nei Paesi Bassi di 164, in di Austria 149, in Svezia di 145 e in Belgio di 140. Tra i 27 Paesi dell’UE con 99 euro ci collochiamo al 12° posto.

Non abbiamo più le grandi imprese

I Paesi con pochi abitanti, ma con una presenza importante di big company e di attività finanziarie, presentano tendenzialmente livelli di ricchezza nettamente superiori agli altri. L’Italia è un Paese che non dispone più di grandissime imprese e di multinazionali, ma è caratterizzato da un sistema produttivo composto quasi esclusivamente da micro e Pmi ad alta intensità di lavoro che, mediamente, registra livelli di produttività non elevatissimi, eroga retribuzioni più contenute delle aziende di dimensioni superiori, condizionando così l’entità dei consumi e presenta livelli di investimenti in ricerca /sviluppo inferiori a quelli in capo alle grandi realtà produttive.

Fino ai primi anni ’80, però, eravamo leader. Ora lo siamo grazie alle Pmi

Al netto dell’inflazione, in questi ultimi 30 anni le retribuzioni medie degli italiani sono rimaste al palo, mentre in quasi tutta UE sono aumentate. Tra le cause del risultato italiano sono da annoverare la crescita economica asfittica e un basso livello di produttività del lavoro che dal 1990 ha interessato il nostro Paese, soprattutto nel settore dei servizi. Una delle cause di questo risultato va ricercato anche nel fatto che, a differenza dei nostri principali competitori europei, in questo ultimo trentennio la competitività del nostro Paese ha risentito dell’assenza delle grandi imprese. Queste ultime sono pressoché scomparse, non certo per l’eccessiva numerosità delle piccole realtà produttive, ma a causa dell’incapacità dei grandi player, spesso di natura pubblica, di reggere la sfida innescata dal cambiamento provocato dalla caduta del muro di Berlino e da “Tangentopoli”. Sino agli inizi degli anni ’80, infatti, l’Italia era tra i leader europei - e in molti casi anche mondiali - nella chimica, nella plastica, nella gomma, nella siderurgia, nell’alluminio, nell’informatica, nell’auto e nella farmaceutica. Grazie al ruolo e al peso di molti enti pubblici economici (Iri, Eni ed Efim) e di grandi imprese sia pubbliche che private (Montecatini, Montedison, Enimont, Montefibre, Alfa Romeo, Fiat, Pirelli, Italsider, Polymer, Sava/Alumix, Olivetti, Angelini, etc.), queste realtà garantivano occupazione, ricerca, sviluppo, innovazione e investimenti produttivi. A distanza di quasi 45 anni, purtroppo, abbiamo perso terreno e leadership in quasi tutti i settori in cui eccellevamo. E ciò è avvenuto non a causa di un destino cinico e baro, ma da alcuni avvenimenti che hanno cambiato il corso della storia: la caduta del muro di Berlino, ad esempio, ha riunificato l’Europa, ha riattivato i rapporti commerciali con i Paesi presenti oltre la “cortina di ferro”, spingendo fuori mercato molte delle nostre grandi aziende impiegate nei settori dove eravamo leader. Altrettanto dirompenti per il nostro Paese sono stati gli effetti provocati da “Tangentopoli” che hanno messo a nudo i limiti, in particolare, di molte imprese a partecipazione statale che fino allora erano rimaste attive grazie al mercato protetto in cui operavano e ai sostegni politici che avevano ricevuto dalla quasi totalità dei partiti presenti nella cosiddetta “prima Repubblica”. Nonostante ciò, in questi ultimi 30 anni l’Italia è rimasta tra i paesi economicamente più avanzati del mondo e questo lo deve alle sue Pmi che, tra le altre cose, continuano a “dominare” i mercati internazionali.

Regioni: la produttività è al top in Trentino A.A. e in Lombardia

In termini di produttività del lavoro, misurata rapportando il valore aggiunto (Pil al netto delle imposte dirette) alle unità di lavoro standard (ULA), nel 2024 il dato medio Italia è pari a 77 mila euro per ULA, Unità di lavoro equivalente a tempo pieno (Ula). Unità di misura omogenea del volume di lavoro svolto dagli occupati. L'unità di lavoro rappresenta la quantità di lavoro prestata nell'anno da un occupato a tempo pieno, e fornisce l’unità di misura della quantità di lavoro prestata da occupati a tempo parziale, da occupati ad orario ridotto (ad esempio perché in cassa integrazione guadagni o perché svolgono un doppio lavoro), e da occupati con durate del lavoro inferiori all’anno. L’unità di lavoro esprime, pertanto, il numero di ore annue corrispondenti ad un'occupazione esercitata a tempo pieno, numero che può diversificarsi in funzione dell’orario di lavoro contrattuale seguito o delle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta (ad esempio per la presenza di turni). Il calcolo del volume di lavoro in unità di lavoro equivalenti tempo pieno si rende necessario in quanto non vi è piena ovvero 210,6 euro medi giornalieri. A livello territoriale la situazione più virtuosa si registra in Trentino Alto Adige con 253 euro al giorno per ULA. Questa regione del Nordest può contare su un Pil (o meglio valore aggiunto) di 52,4 miliardi di euro, su 556 mila unità di lavoro standard e su una produttività annua per ULA di 92.595 euro. Seguono la Lombardia con 251,4 euro giornaliere per ULA, la Valle d’Aosta con 230,8 euro per ULA e l’Emilia Romagna con 226,6 euro per ULA. Le realtà dove la produttività è più bassa, invece, le scorgiamo nel Mezzogiorno che, tendenzialmente, conta, rispetto al Centronord, un’economia meno contrassegnata dalla presenza di aziende manifatturiere e di attività reditizie/finanziarie/assicurative. Pertanto, chiudono la graduatoria nazionale la Sardegna con 165,7 euro giornaliere per ULA, la Calabria con 159,5 euro per ULA e la Puglia con 158,2 euro per ULA.