di Thomas Fox
"Siamo un Paese di marca, siamo il Made in Italy: un marchio straordinario che però richiede una politica in grado di valorizzare le eccellenze. È l’unico modo per arricchire il nostro futuro". Va dritto al punto Francesco Mutti, presidente di Centromarca, l’associazione italiana dell’industria di marca cui aderiscono circa 200 imprese che commercializzano oltre 2.400 brand.
L’imprenditore è intervenuto ieri a Milano durante la presentazione di un’indagine sulle scelte d’acquisto, ribadendo come l’Italia non possa essere il Paese delle grandi produzioni di massa, ma quello di piccole eccellenze capaci di portare la qualità del Made in Italy nel mondo. Una filiera che rappresenta "una cassaforte di ricchezza e benessere per il nostro Paese". Del resto, l’industria di marca ha un peso enorme sull’economia italiana, incidendo per il 54.5% sul mercato del largo consumo, come evidenziano i dati diffusi ieri dal centro studi di Centromarca.
E il valore condiviso generato lungo tutta la filiera dalle imprese che aderiscono all’associazione supera gli 87 miliardi di euro, circa il 4.2% del Pil. Ma la marca pesa anche sulle scelte d’acquisto: l’85.7% delle famiglie ha comprato almeno una volta un brand in un discount. E i prodotti delle industrie Centromarca hanno un’incidenza del 66% sul valore dello scontrino.
E ancora, il 73% dei consumatori considera la marca centrale negli acquisti di beni alimentari confezionati, e il 61% comprerebbe il prodotto di un altro brand se non fosse disponibile quello della loro marca preferita. Cifre che salgono rispettivamente all’82% e al 64% quando si parla di beni non alimentari.
Insomma, dai dati emerge tutta la vitalità di quest’industria, malgrado le dimensioni talvolta irrisorie delle aziende: "Piccolo è bello, è il nanismo che non è bello", sottolinea Mutti. Ma soprattutto, la marca conferma la sua forza malgrado la crisi perenne in cui siamo immersi dallo scoppio della pandemia: "Affrontiamo almeno uno shock all’anno – continua il presidente –. Dobbiamo capire da dove vengono i problemi e affrontarli in modo sistemico". A partire dalla crisi energetica: "Non dobbiamo ricadere in una nuova spirale inflazionistica, ma ad alimentare questo rischio non è una dinamica di consumi deboli, bensì l’energia".
Per non parlare poi dei conflitti, dei fenomeni estremi associati al cambiamento climatico, della stagnazione demografica, dei possibili dazi americani con la nuova presidenza Trump. Problemi che richiedono una risposta a livello europeo: "Dobbiamo partire da un progetto economico più ampio per rigenerare valore per i cittadini", spiega Mutti. Il tutto mentre in Italia si aggira lo spettro della sugar tax e della plastic tax: "Non possiamo penalizzare gli italiani mettendo delle tasse sui consumi", chiosa il presidente. E tuttavia, malgrado la crisi permanente e la debolezza del potere d’acquisto, due italiani su tre spenderanno nel periodo natalizio una cifra pari o superiore a quella dello scorso anno, come evidenzia una rilevazione condotta su scala nazionale da Swg per Centromarca.
"Chi taglierà il budget ridurrà la quantità, ma non rinuncerà alla qualità", evidenzia Alessandra Dragotto, Head of research di Swg. Insomma, la marca conta anche negli acquisti e nei regali natalizi: per il 43% rappresenta un punto di riferimento al momento della scelta, con punte del 50% per l’alimentare, "perché è un elemento di prestigio da portare in tavola o come regalo e comunica un senso di qualità", spiega Dragotto. Insomma, sarà un Natale all’insegna dei brand. A conferma del peso di quest’industria sui comportamenti d’acquisto degli italiani. E sullo sviluppo e l’economia dell’intero sistema paese.