La vicenda Silicon Valley Bank potrebbe imporre maggiore cautela alle banche centrali nella politica di rialzo dei tassi. Se ne è convinto l’economista Marco Onado, 81 anni, professore alla Bocconi, che osserva con perplessità l’ottimismo con cui Fed e Bce pensano di ribaltare la politica monetaria per contrastare l’inflazione. "Da parte delle banche centrali si è pensato troppo all’aspetto reale dell’economia piuttosto che a quello finanziario – spiega il professor Onado –. L’economia andava bene, la ripresa aveva rallentato senza provocare la recessione. Ma dopo 15 anni di droga, ovvero di denaro a tassi anche inferiori a zero, passare a un regime normale è traumatico".
La droga dei tassi bassi è stata un errore?
"È stata la cosa che ci ha salvati evitando un disastro tipo Grande Depressione. Però se assumi droga per 15 anni, poi uscirne di colpo non è facile".
Ormai è tardi?
"Non so, però l’effetto immediato sarà un aumento di prudenza da parte delle banche centrali. Credo che il previsto aumento di altri 50 punti base da parte della Bce possa rientrare".
Quindi Francoforte eviterà di aumentare di nuovo i tassi?
"Difficile dirlo con certezza, forse non lo sa neppure Lagarde. Però lunedì scorso avrei risposto che la cosa più probabile era la conferma dell’aumento, anche se il governatore di Bankitalia Visco aveva già avvertito dei rischi. Oggi direi che l’aumento è la scelta meno probabile".
Resterà comunque il problema dell’inflazione.
"Sì, con altri rischi. Le Poste tedesche hanno concesso un aumento degli stipendi a due cifre per scongiurare gli scioperi. Ma così si rischia di avviare una spirale prezzi-salari pericolosa".
Nouriel Roubini dice che l’obiettivo dell’inflazione al 2% va posticipato.
"Oggi è possibile che ci si accontenti di un avvicinamento al 2%, ma è la tendenza che conta. Ci sono stati campanelli d’allarme che in queste condizioni sono stati ignorati. Ad esempio è uscito un dato preoccupante: la inflazione core, uno degli indicatori che la Fed guarda di più, non è scesa ma è invece salita un pochino nonostante le scelte della banca centrale americana. Un segnale che avrebbe dovuto mettere in guardia".
Non se ne esce: da una parte l’inflazione, dall’altra l’aumento dei tassi troppo rapido.
"Ovviamente le banche centrali continueranno a perseguire come obiettivo prioritario la riduzione dell’inflazione. Ma navighiamo in acque mai attraversate finora, nessuno sa dove si trovano le secche della stabilità".
Fed e Bce finora hanno attuato misure classiche per fronteggiare una situazione eccezionale. Un errore?
"Hanno continuato a dire che i leverage loans (i prestiti a leva, ndr) erano cresciuti eccessivamente, ma senza tenere conto del sistema bancario collaterale e delle fragilità del sistema. L’aumento dei tassi innesca pressioni sugli operatori spingendoli a vendere titoli, ma facendo precipitare il loro valore".
Il caso Silicon Valley è legato solo all’aumento dei tassi?
"La Svb prendeva anche fondi non a titolo di deposito dalle imprese della nuova tecnologia. Quando le aziende tech a causa delle loro difficoltà hanno cominciato a ritirare i depositi, c’è stato il disastro".
Si rischia il contagio della crisi bancaria?
"In senso stretto no, perché ci sono aspetti specifici della Silicon Valley. Però oggi abbiamo tantissime posizioni di attivi a rischio perché finanziati nel recente passato a tasso zero che hanno perso valore".
C’è stata una sottovalutazione da parte di banche e imprese?
"No, il problema viene da lontano, dagli anni di denaro a costo zero. L’atterraggio morbido con l’aumento dei tassi era una previsione ottimistica".