È quasi fatta, manca solo un ultimo sforzo. Sulla riforma del Patto di stabilità, dopo la maratona di questi giorni, un accordo prima di fine anno è "raggiungibile", secondo il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. Un testo di compromesso, attualmente sul tavolo del Consiglio, è già stato preparato da Francia, Germania, Italia e dalla stessa presidenza spagnola. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire, grande artefice dell’intesa, ha confermato che c’è accordo sul 95% del pacchetto. La presidenza spagnola ora punta tutto su un nuovo incontro ministeriale, possibilmente nella settimana del 18 dicembre, in modo da chiudere la trattativa e risolvere i dettagli ancora aperti, vale a dire tendenzialmente i parametri numerici di aggiustamento di bilancio. Nel corso dell’Ecofin di ieri, poi, è passata anche la revisione dei Pnrr presentati da 13 Paesi membri, fra cui quello italiano. I piani rivisti includono anche il capitolo Repower Eu e diventano così definitivi. È "un altro grande risultato del governo", ha commntato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La rimodulazione del Pnrr italiano vale complessivamente 21,4 miliardi, anche se in una formula parecchio rivista rispetto alle ipotesi iniziali. Resta invece ancora sotto esame il raggiungimento dei 28 obiettivi della quarta rata da 18,5 miliardi, quelli del primo semestre di quest’anno. Il governo continua in ogni caso a puntare all’accredito entro il 31 dicembre.
Il negoziato sul Patto di stabilità (Psc) partiva da un braccio di ferro tra i Paesi preoccupati dall’urgenza di aumentare gli investimenti in una fase delicata per l’economia europea, e quelli attenti alla necessità di ridurre l’indebitamento. L’obiettivo era quello di rassicurarli su un rientro credibile del debito pubblico e del disavanzo dei Paesi meno virtuosi, finiti oltre ogni soglia dopo pandemia, guerra in Ucraina e ricadute su energia e inflazione. Così, nei piani di spesa degli Stati il debito dovrà scendere dell’1% annuo per i Paesi con un debito oltre il 90% del Pil e dello 0,5% annuo per i Paesi con un debito fra il 60 e il 90% del Pil. Sul deficit si chiede un calo anche per i Paesi già entro la soglia del 3% prevista dai trattati: deve scendere al 2% per i meno indebitati e all’1,5% per i Paesi ad alto debito (oltre il 90%). L’ultima svolta in questa partita è stato il tentativo di riaprire la procedura automatica per disavanzo eccessivo, che prevede un aggiustamento dei conti pari allo 0,5% del Pil per chi sfora il deficit del 3% del Pil. Per venire incontro ai Paesi più indebitati, fra cui l’Italia, la Commissione nel valutare la procedura per deficit, secondo il nuovo compromesso, terrà conto dell’aumento degli interessi sul debito tra il 2025 e il 2027, per "non compromettere l’effetto positivo del Pnrr".
È soddisfatto per il compromesso sul Patto il ministro italiano dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: "Noi accettiamo un pacchetto complessivo: non si può prendere, in questa vicenda, un punto e isolarlo dagli altri". E aggiunge: "L’Italia non si lamenta rispetto al fatto che dobbiamo garantire sostenibilità fiscale: abbiamo anche accettato delle salvaguardie, proposte dalla Germania". La ratifica del Mes non sembra più in discussione, anche in base alle affermazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ieri ha sostenuto "non sono contrario, va bene ratificarlo". Sull’altro fronte, il ministro delle Finanze tedesco, il falco Christian Lindner, è apparso più prudente: "C’è un’intesa sulle salvaguardie da utilizzare sul fronte del deficit e del debito. Ora si tratta di trovare la giusta calibrazione, tenendo conto per esempio delle spese per la difesa. Quanto ai deficit eccessivi, noi crediamo che debbano essere ridotti, non scusati. In questo senso, l’attuale procedura contiene sufficienti margini di flessibilità. Non tutti però sono d’accordo con questa visione delle cose". Lindner ha parlato di accordo al 92%.