Parigi, 27 novembre 2024 – Qualche turista spaesato si ferma sotto ai tendoni rossi e le vetrate ridipinte di bianco dell’ingresso dell’Hard Rock Café, tra il via vai dei Grands Boulevards, nel cuore di Parigi. Uno di loro si azzarda a spingere le maniglie dorate a forma di chitarra, senza successo: “Siamo spiacenti di informarvi che siamo chiusi. Vogliamo ringraziare voi e la città di Parigi, che ci ha accolto con tanto calore ed entusiasmo”, si legge su un foglio.
Inaugurato nel 1991 al 14 di Boulevard Montmartre, il primo (e ultimo) Hard Rock Café di Francia ha chiuso i battenti il 18 novembre, dopo quelli di Marsiglia, Nizza e Lione. Un declino sintomo del disinteresse dei francesi nei confronti del marchio, ma anche di un riassetto globale del gruppo.
Fuori tempo e fuori moda
Per Romain (Romain non è il suo nome vero, l’ex-dipendente ha preferito rimanere anonimo), 28 anni, barman del locale tra il 2021 e il 2023, non è tanto la chiusura della sede parigina a sorprenderlo, quanto la rapidità con cui è successo. I circa 90 dipendenti tra cuochi, camerieri e personale addetto alle pulizie sono stati informati solamente a settembre. Nei due anni in cui ha lavorato si sono alternate tre direzioni diverse: "C'è stato persino uno sciopero nel 2022 perché i dipendenti volevano un aumento di stipendio difficile da ottenere”. Delle difficoltà di gestione dovute ad un giro d’affari in perdita, aggravato dalla pandemia del Covid19.
Basta fare un giro nel quartiere per rendersi conto che l’Hard Rock Café stona. Le catene si alternano a piccoli ristoranti, più intimi ma anche più abbordabili visti i prezzi al metro quadro. "Avevamo un edificio enorme con due cucine, una al piano terra e una al piano superiore, che non è mai stata usata dal 2017”, ricorda Romain.
“Il cibo non era più al passo con i tempi. Ci sono molti ristoranti migliori in città”, ammette dal canto suo Jean-Philipp, 35 anni originario di una cittadina tedesca vicina a Dortmund. Collezionista appassionato, Jean-Philipp ha visitato 277 delle circa 300 locations del gruppo sparse in giro per il mondo. Nel 2016 ha aperto il sito thisisHardRock.com, oltre che una pagina in cui sono recensite tutte le aperture e le chiusure.
L’ipotesi di Jean-Philipp è che i bar vanno avanti fin quando i conti non sono in rosso, prima di chiudere definitivamente. Anche perché a parte il ristorante aperto a Piccadilly Circus nel 2019, a Londra, tutte le nuove sedi sono in franchising, come comunicato lo scorso settembre dal gruppo stesso. Guidato dal manager Jim Allen, Hard Rock Café appartiene dal 2006 ai Seminole, comunità indigena della Florida che ha acquistato il marchio per 965 milioni di dollari. Un affare d’oro: dieci anni più tardi i guadagni sono saliti a quasi 6 miliardi di dollari. Da almeno una decina di anni, non sono i bar ristoranti a trainare le vendite, bensì gli hotel e i casinò, tra cui l’ex Trump Taj Mahal di Atlantic City inaugurato nel 1990 da Donald Trump e riacquistato dai Seminole nel 2017.
Ritorno alle origini
A due passi da Hyde Park, nell’elegante quartiere di Mayfair, una piccola sala accoglie una trentina di clienti. Qui, nel back room del primo Hard Rock Café del mondo, una foto incorniciata sopra lo stipite della porta ritrae quattro giovani, di cui due intenti a mangiare un hamburger. Sono Isaac Tigrett e Peter Morton, i fondatori. Furono loro ad introdurre, nel 1971, il concetto di dining experience: chitarre, giacche o altri oggetti iconici appesi al muro, musica rock a tutto volume o concerti live. Il marchio si diffonde rapidamente e comincia ad aprire dei punti vendita vicino ai ristoranti. L’Hard Rock Café diventa una tappa obbligatoria negli itinerari turistici dei primi anni 2000 e la maglietta bianca col logo al centro un oggetto di culto. È in quest’epoca che cresce Callum, 25 anni, manager del back room e impiegato da 7 anni nella compagnia. Ha sempre voluto lavorare qui e il gruppo lo tratta bene. Callum sa che il marchio macina soldi grazie ai casinò e agli hotel: "I nostri ricavi, quelli dei café e dei ristoranti, sono irrisori”.
Ciononostante sono la memoria vivente del successo del marchio. Svoltato l’angolo, dietro l’imponente ingresso della sala principale, si sono esibiti i Rolling Stones, i Deep Purple, Elton John e solo due mesi fa John Legend. Al giovane dispiace per Parigi, ma è fiducioso per Londra: "Se mai dovesse chiudere sarebbe l’ultimo bar a farlo”. Nel brusio si distinguono parole spagnole, tedesche e arabe, “circa metà dei clienti sono turisti, molti vengono qui regolarmente, come quei due piloti americani”, dice indicando una coppia seduta ad un tavolo. L’altra metà invece parla inglese. E forse è proprio questa la differenza principale tra le due sponde della Manica: il rock è nato a Londra e una parte dei suoi abitanti batte ancora al suo ritmo.