Martedì 12 Novembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Il giuslavorista Del Conte: “Il mito del posto fisso? I giovani vogliono altro”

Il docente della Bocconi: la PA ripensi il suo modello per essere competitiva “Per la generazione Z la stabilità a vita del lavoro fa perdere altre opportunità”

Maurizio Del Conte, 59 anni, insegna alla Bocconi

Maurizio Del Conte, 59 anni, insegna alla Bocconi

Roma, 11 novembre 2024 –  La pubblica amministrazione, con il posto fisso e garantito a vita, ha perso notevolmente appeal negli ultimi anni per i giovani. Perché?

“I giovani, soprattutto quelli della generazione Z, vivono in una dimensione sociale e culturale nella quale il posto fisso non esiste più – spiega Maurizio Del Conte, professore ordinario di Diritto del lavoro alla Bocconi, regista della legge sullo smart working in Italia –. Il loro futuro annulla le frontiere nazionali e non ricollegano il lavoro a un luogo statico nel tempo. Per loro è normale spostarsi per trovare un lavoro più “bello” e più corrispondente al loro modello di vita.  La stabilità a vita del posto di lavoro viene percepita più come perdita di altre opportunità che come una assicurazione sul futuro. Da questo punto di vista la pubblica amministrazione rischia di apparire ai giovani come un dinosauro, relegato a un mondo che non esiste più”.

Maurizio Del Conte, 59 anni, insegna alla Bocconi
Maurizio Del Conte, 59 anni, insegna alla Bocconi

Il governo e le parti sociali con i nuovi contratti tentano di correre ai ripari: smart working, settimana di quattro giorni e così via. Possono funzionare?

“Il modo di lavorare è cambiato e la pubblica amministrazione non può chiamarsi fuori. Flessibilità di luoghi e di tempi di lavoro sono parte del pacchetto base che le imprese, sempre più in difficoltà nel reperire le competenze di cui hanno bisogno, propongono oggi in ogni colloquio di assunzione. Venuto meno il fascino del posto fisso, anche la PA deve ripensare ai propri modelli organizzativi per essere competitiva nel mercato del lavoro. Bene, quindi, che il nuovo contratto nazionale preveda sia lo smart working che la settimana corta. A patto, però, che i dirigenti degli uffici ridefiniscano radicalmente l’organizzazione del lavoro, pena la perdita di efficienza, con pesanti ricadute sulla qualità dei servizi”.

Quali altri incentivi servirebbero?

“Mi lasci dire che il primo incentivo, per chi lavora nel pubblico, è rendere un buon servizio ai cittadini. Purtroppo accade spesso di vedere uffici pubblici dove il merito e le competenze professionali non vengono valorizzate, con l’effetto di frustrare anche le persone più motivate. Occorre disegnare piani di valutazione della performance che non siano – come spesso accede – meri adempimenti burocratici, ma siano in grado di fissare obiettivi chiari e raggiungibili e, quindi, rendano possibile premiare i dipendenti in base a metriche oggettive”.

Come incidono le distanze e quanto possono servire le indennità specifiche?

“Il problema oggi non è rappresentato dalla distanza casa-ufficio, ma dagli enormi differenziali di costo della vita tra territori del Paese. È necessaria una prova di coraggio e di onestà intellettuale per superare i vecchi slogan inneggianti a un’uguaglianza formale del salario che, nella realtà, impoverisce chi lavora e vive nei grandi centri urbani o in alcune aree del Paese dove il costo di alcuni beni primari, come l’abitazione, arrivano a superare di due o tre volte quello medio nazionale. Perciò è necessario incentivare la contrattazione collettiva territoriale, che resta la leva più efficace per adeguare i salari al maggiore costo della vita e, così, evitare la progressiva desertificazione dei concorsi pubblici. La drammatica crisi dei trasporti urbani ne è solo un esempio, ma moltissimi sono i bandi che le amministrazioni locali devono continuamente rinnovare per insufficienza di candidati”.