Ha modificato abitudini e comportamenti. Ma non è stato in grado di cambiare il volto delle nostre città. Insomma, lo smart working, è stata l’ennesima occasione persa. Giuseppe Roma, a lungo direttore del Censis, sociologo e urbanista, fondatore e segretario generale di RUR-Rete urbana delle rappresentanza, è rammaricato. "Abbiamo pensato che dopo il lockdown sarebbe cambiato tutto. Soprattutto quando abbiamo sperimentato che si poteva continuare a lavorare dalle nostre piccole case, stando in campagna o al mare. C’è stato anche chi aveva teorizzato la fine delle metropoli".
E invece?
"Le metropoli non sono affatto morte, anzi crescono sempre di più. E i borghi, per quanto si siano ripopolati, non sono ancora un’alternativa alla vita nelle grandi città".
Che cosa ha impedito una vera rivoluzione?
"La grande città continua a essere il polo di attrazione. Certo, ci sono quelli che preferiscono tornare alla campagna. Ma le metropoli sono ancora il luogo dove si creano le opportunità, dove si concentra la vita culturale e sociale, dove ci sono le strutture sanitarie, i teatri, i cinema. Lo smart working non ha intaccato le funzioni della metropoli".
Non pensa, però, che lo smart working possa migliorare la nostra vita?
"C’è stata una rivoluzione silenziosa che ha inciso sulle nostre abitudini, soprattutto, per quei lavori che non hanno la necessità di un rapporto diretto con i committenti o per quelle organizzazioni o aziende più efficienti. Si è capito che si poteva lavorare in modo ‘deterritorializzato’ senza incidere sulla qualità e la produttività. Senza contare i benefici per quanto riguarda la mobilità: stop al pendolarismo, niente incidenti casa-lavoro…".
Da oggi, però, tutto questo rischia di essere cancellato?
"Il fenomeno è stato gestito in maniera spontaneistica, senza una regia, soprattutto dal punto di vista urbanistico. Ci siamo concentrati nel fare i cappotti termici ai nostri edicifi e non a ripensare gli spazi. Eppure, negli ultimi anni, anche nelle grandi città, la gente è tornata a vivere il quartiere. Le metropoli come Roma si sono trasformate in un mosaico di piccole città, organizzate con la logica dei borghi. Lo smart working poteva accompagnare queste trasformazioni, migliorare la qualità della vita, affrontare le grandi sfide della transizione ecologica".
Cosa bisognava fare?
"Bisognava pensare alle città in modo nuovo, come hanno iniziato a fare Germania e Francia, rivedendo gli spazi delle case, potenziando le connessioni, immaginando nei quartieri nuovi servizi, con connessioni di rete adeguate. Da questo punto di vista possiamo parlare di una grande occasione perduta".