Lunedì 20 Gennaio 2025
CLAUDIA MARIN
Economia

Giovani e lavoro, il tracollo demografico fa perdere all’Italia 2,5 milioni di occupati

Secondo il rapporto del Cnel “Demografia e forza lavoro” l’Italia è anche il Paese in cui lo squilibrio demografico si riflette maggiormente sugli occupati

Giovani al lavoro

Giovani al lavoro

Roma, 20 gennaio 2025 – Crollano i giovani occupati in Italia, ma non perché non trovano lavoro: perché sono gli stessi giovani a mancare.  L’Italia è entrata dal 2014 in fase di declino demografico. Dopo aver trascinato verso il basso la popolazione totale, la riduzione continua delle nuove generazioni sta trascinando ora verso il basso anche la popolazione in età attiva, rischiando di indebolire la forza lavoro potenziale del Paese. A segnalare quello che è più di un rischio è il Cnel nel rapporto “Demografia e forza lavoro”, curato dal professore e consigliere Alessandro Rosina.

L’Italia è il Paese europeo con più bassa incidenza degli under 35

Gli squilibri demografici – spiega Rosina - sono diventati nel tempo sempre più accentuati facendo diventare l’Italia il Paese dell’Unione europea con più bassa incidenza degli under 35 sul totale della popolazione. In particolare, la fascia 25-34 in tutti i grandi Paesi europei all’inizio di questo secolo era più abbondante - come sempre stato tradizionalmente - rispetto alla fascia 55-64 anni. Tutti si trovano invece oggi con la fascia attorno ai 60 anni che ha superato quella attorno ai 30. Con l’Italia che presenta lo squilibrio maggiore: attualmente la fascia giovane-adulta (25-34) è circa il 30% in meno rispetto alla classe 55-64 (la perdita più bassa è quella della Francia, con il 10% in meno).

L’Italia è il Paese europeo con il più grave squilibrio generazionale

L’Italia è anche il Paese – si sottolinea nel Rapporto – in cui lo squilibrio demografico maggiormente si riflette sugli occupati. I dati più recenti comparativi Eurostat mostrano che in Italia la fascia 25-34 conta quasi 1 milione di occupati in meno rispetto alla fascia 55-64 (in totale rispettivamente poco meno di 4,2 milioni contro più di 5,1 milioni). In percentuale si tratta quasi di un 20% in meno degli occupati più giovani rispetto ai più maturi. La Germania si trova con un 10% in meno. La Spagna vede attualmente un equilibrio tra tali due classi. La Francia, al contrario, registra circa il 20% in più della fascia 25-34 rispetto alla fascia 55-64.

Nel confronto competitivo nei processi di crescita e sviluppo con gli altri grandi paesi europei ci troviamo quindi, a parità di forza lavoro, con una componente molto più debole degli under 35. Il ribaltamento tra presenza giovane e matura nella popolazione in età attiva italiana è un processo del tutto nuovo avvenuto con una forte accelerazione negli ultimi venticinque anni: si è passati da una fascia 15-34 più abbondante di circa 3 milioni di persone rispetto a quella 55-74, a una situazione completamente ribaltata in cui la fascia più matura presenta circa 4 milioni di persone in più rispetto a quella più giovane.

In dieci anni gli occupati si ridurranno di 2,5 milioni per effetto del divario demografico

Se negli ultimi decenni il fenomeno principale a cui siamo andati incontro è l’invecchiamento della forza lavoro e un cambiamento della composizione interna alle aziende a sfavore del peso delle nuove generazioni, nei prossimi decenni il rischio – insiste Rosina - è di andare incontro anche a una riduzione quantitativa complessiva della forza lavoro. Se, infatti, non contrastata da un adeguato aumento del tasso di occupazione delle nuove generazioni (sul versante maschile e femminile) attualmente a livelli tra i più bassi in Europa, l’azione delle dinamiche negative della demografia è tale da far progressivamente riscalare verso il basso tutte le età lavorative.

L’esercizio di simulazione proposto nel rapporto Cnel “Demografia e forza lavoro”, mette in evidenza che, senza aumento dei tassi di occupazione, quindi per solo effetto dell’azione demografica, la platea degli occupati in Italia andrebbe a ridursi di circa 2,5 milioni in soli 10 anni (scendendo sotto 21,5 milioni all’orizzonte del 2035 rispetto ai 24 milioni attuali). Con dinamiche che diventerebbero ulteriormente peggiorative nei decenni successivi. In uno scenario di questo tipo gli attuali under 35 si troverebbero quindi ad essere giovani (entranti nella vita attiva) nella fase in cui la forza lavoro maggiormente si sbilancia verso i lavoratori maturi, e ad essere adulti (al centro della vita attiva) nella fase in cui la forza lavoro complessiva si riduce a fronte di un accentuato aumento della popolazione anziana (con lo spostamento in pensione delle generazioni demograficamente consistenti rappresentate dagli attuali over 55). Con il rischio che le generazioni ancor più giovani risultino demograficamente ancor più deboli (se la natalità continua ad essere bassa), alimentando squilibri crescenti.

Indispensabile un nuovo patto generazionale

“Per evitare che il peso degli squilibri demografici diventi eccessivo, assieme a quello del debito pubblico (che per la prima volta ha superato 3 mila miliardi), la via principale – propone Rosina - è rafforzare il contributo attivo delle nuove generazioni allo sviluppo economico del paese e migliorare le condizioni di valorizzazione in tutto il percorso professionale”. Il che richiede soprattutto — incalza il professore – “la necessità di migliorare la capacità di azione delle politiche su tre assi che mettono in relazione positiva ambiti rimasti poco integrati in Italia (rispetto agli altri paesi e rispetto alle nuove esigenze): la transizione scuola-lavoro e la formazione continua dei lavoratori; l’armonizzazione tra tempi di lavoro, tempi di vita e responsabilità familiari; il rapporto tra diverse fasi della vita e tra generazioni diverse. Agire positivamente su questi assi consente non solo di valorizzare meglio la popolazione attiva disponibile ma essere anche più attrattivi verso i giovani (riducendo il saldo negativo tra giovani qualificati che se ne vanno rispetto a quelli che attraiamo) e favorire i loro progetti di vita. L’alternativa è trovarsi con sempre meno giovani ma anche sempre più rinunciatari e demotivati, con i più dinamici e intraprendenti che vanno ad arruolarsi nella forza lavoro dei paesi con cui ci confrontiamo e competiamo. In questo contesto, diventa indispensabile – sottolinea Rosina – un nuovo Patto generazionale che porti ad un impegno concreto a restituire un protagonismo positivo ai giovani in Italia e sia funzionale alla collaborazione tra generazioni. Investire in formazione, in innovazione e nella valorizzazione del capitale umano è fondamentale per superare gli attuali squilibri, rilanciare l’economia e affrontare le sfide globali”.