I dati che fanno riferimento alla disparità salariale tra uomini e donne sono certamente di impatto: basti pensare che nella sola Unione Europea nel 2021 risultava che i membri del gentil sesso si portassero a casa in media uno stipendio il 12,7% inferiore rispetto alle loro controparti maschili.
Il divario retributivo di genere è basato sugli stipendi versati direttamente ai dipendenti prima delle detrazioni fiscali e dei contributi previdenziali ed è legato ad alcuni problemi strutturali che vanno risolti al più presto. Ecco per quale motivo le Nazioni Unite hanno scelto di istituire una Giornata internazionale Parità di Retribuzione, che si celebra ogni anno il 18 settembre.
Il significato della Giornata Internazionale della Parità di Retribuzione
Con un evento simile, l’organizzazione internazionale vuole sottolineare l’importanza degli sforzi congiunti della comunità mondiale contro qualunque tipo di forma di discriminazione salariale (e non solo) nei confronti delle donne e delle ragazze di tutto il mondo. Purtroppo ancora oggi, nei quattro angoli del globo (Italia compresa!) le donne vengono pagate meno degli uomini: si parla di stipendi del 20% in meno rispetto agli uomini su scala mondiale. L’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne adulte e di quelle più giovani continuano ad essere ostacolate dalla presenza persistente ed invasiva di relazioni di potere squilibrate tra uomini e donne, ma anche dalla povertà e dall’accesso difficoltoso alle risorse che limitano le capacità che il genere femminile possiede. Sfortunatamente, l’Onu ha ammesso che in questo senso non si è riusciti a fare dei grossi passi avanti e che i progressi sono stati piuttosto lenti. Si potrebbe parlare, inoltre, di tante belle promesse che in realtà non sono mai state mantenute: per quanto in molti Governi si siano resi disponibili a lavorare per garantire la parità salariale, non abbiamo ancora realmente assistito all'implementazione di azioni concrete. Ecco dunque che l’Onu, in quest’ottica, ha deciso di stilare alcuni Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, tra i quali spicca per l’appunto la necessità di porre sullo stesso piano donne e uomini anche da un punto di vista retributivo. Tali obiettivi puntano inoltre ad aumentare i tassi di occupazione e migliorare le condizioni di lavoro per tutti gli esseri umani, compresi i giovani e le persone con disabilità. Tra gli ambiziosi traguardi finale fissati nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è inclusa, in aggiunta, la necessità di diffondere una maggior consapevolezza rispetto alla prospettiva di genere a livello globale. Non si tratta di aspirazioni banali, ma del sogno di un mondo migliore, più giusto e equo, nei confronti del quale dovranno impegnarsi tutti gli Stati membri dell’ONU, la società civile, i gruppi femministi, i business, le associazioni sindacali e chiunque abbia a cuore la stabilità economica delle donne di tutto il mondo.
Cosa fare per promuovere la parità salariale?
La promozione della parità di retribuzione richiede uno sforzo congiunto da parte di individui, organizzazioni, governi e società nel loro insieme. Ecco alcune azioni chiave che possono contribuire a ridurre il divario salariale di genere:
- Leggi e politiche per la parità di retribuzione: i Governi devono adottare leggi che vietino la discriminazione salariale di genere e promuovano la parità di retribuzione. - Trasparenza salariale: le organizzazioni dovrebbero adottare politiche salariali trasparenti che permettano ai dipendenti di accedere alle informazioni sulle retribuzioni, in modo da identificare eventuali disuguaglianze. Proprio da questo punto di vista di recente l’Unione Europea si è attivata con una nuova direttiva che dovrà essere adottata dagli Stati membri, tra cui l’Italia, e recepita nel diritto nazionale entro i prossimi tre anni. - Promuovere la diversità e l'inclusione: Le organizzazioni devono promuovere la diversità di genere in tutti i livelli gerarchici e creare un ambiente di lavoro inclusivo in cui le donne possano prosperare. Molte aziende, soprattutto le grandi multinazionali, si stanno attivando in questo senso inserendo la “Diversity and inclusion” tra i loro principi fondanti. - Educazione e consapevolezza: è essenziale educare le persone sulla questione della parità di retribuzione e sensibilizzare l'opinione pubblica su questa sfida persistente. - Ruolo delle donne nella leadership: Promuovere la partecipazione delle donne in posizioni di leadership all'interno delle organizzazioni è cruciale per combattere il divario salariale di genere.
Analizzare questi punti nel loro complesso è fondamentale per riuscire a contestualizzare meglio alcuni dei dati che le istituzioni forniscono rispetto alla parità salariale. L’UE da questo punto di vista sottolinea che un minor divario salariale non corrisponde necessariamente ad una maggiore uguaglianza di genere. In alcuni Stati membri UE, infatti, divari retributivi più bassi tendono ad essere collegati ad una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Disparità salariale: la situazione in Italia
I dati Istat più recenti, stilati a febbraio del 2021, fanno riferimento ad un quadro in cui le donne sono, anche in questo caso, generalmente meno pagate rispetto agli uomini. Istat segnala infatti che nel nostro Paese la retribuzione oraria è pari a 15,2 euro per le donne e a 16,2 euro per gli uomini. Le differenze più marcate a livello di stipendio si notano tra i dirigenti (27,3%) e i laureati (18%). L’istituto segnala, inoltre, che ad oggi su 101.000 nuovi disoccupati 99.000 sono donne.
Non tutto però è da buttare. Vale ad esempio la pena sottolineare come le differenze complessive nella paga oraria lorda (il cosiddetto gender pay gap) tra uomini e donne in Italia siano tra le più ridotte dell’Unione Europa. C’è insomma, chi riesce a fare molto peggio di noi (come la Lettonia, che vanta un gender pay gap del 22%, mentre in Italia ce la caviamo con un 4,3%).
La situazione è molto diversa, tuttavia, se analizziamo il gender overall earnings gap, che prende in considerazione anche il tasso di occupazione femminile nei diversi Paesi europei e il numero di ore lavorate da uomini e donne. In questo caso l’Italia è il terzo Paese dell’UE con le differenze più evidenti (pari al 43%, subito dietro a Paesi Bassi e Austria).