Roma, 4 gennaio 2025 – L’Italia è senza dubbio un Paese che attraversa un lungo e lento declino economico. Tutti i dati fondamentali come crescita, produttività, salari mostrano questa dolorosa verità. Tuttavia, troppo spesso il Paese è stato indicato preventivamente dai media e dagli esperti come possibile detonatore delle crisi fiscali europee.
Quando nel 2022 il centrodestra a trazione sovranista ha vinto le elezioni, per l’ennesima volta si è tornati a considerare l’Italia come un potenziale pericolo per la finanza pubblica europea. C’era già chi nel settembre del 2022 immaginava una nuova crisi dello spread o politiche fiscali sregolate che avrebbero peggiorato nettamente il bilancio dello Stato italiano.
Nulla di tutto questo è accaduto. E ciò lo si deve principalmente a due personalità politiche: la premier Giorgia Meloni – che è riuscita a frenare gli appetiti politici dei partiti della maggioranza e a costruire un buon rapporto con la Commissione europea bis di Ursula von der Leyen – e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, un politico atipico che ha migliorato il bilancio pubblico negli ultimi due anni. In molti si sono accorti della prudenza del governo italiano tanto che i toni di media ed esperti internazionali sono radicalmente cambiati.
Non solo l’Italia smentisce tutti sul piano della stabilità politica, quando gli altri grandi paesi vacillano, ma è divenuto anche un paese fonte di responsabilità fiscale. Di recente, infatti, il Financial Times – sul suo mensile The Banker – ha incoronato il ministro Giorgetti come miglior uomo della finanza pubblica europea dell’anno.
È un riconoscimento meritato: Giorgetti è un politico esperto che viene sì dalla Lega, cioè un partito euroscettico molto critico verso l’Eurozona, ma che è stato capace di ritagliarsi un suo ruolo indipendente e di intessere un rapporto solido con Giorgia Meloni.
Oggi Giancarlo Giorgetti è un ministro dell’Economia che assomiglia più a un “tecnico d’area” che a un politico della Lega di Matteo Salvini, una personalità stimata dal Quirinale, credibile in Europa, intimo con Mario Draghi (di cui è stato ministro dello Sviluppo economico), ammantato di un crudo realismo economico-finanziario necessario nella politica italiana.
Dopo tre leggi di bilancio si può dire che Giorgetti è stato in grado di tenere la barra diritta rispetto alle richieste del suo partito, sulla maggior spesa in pensioni ad esempio, e degli altri, si pensi al drastico ridimensionamento del Superbonus e alla prudenza nella riduzione delle tasse.
Di questa accortezza oggi il ministro raccoglie i frutti: il rating del debito pubblico è migliorato; lo spread è ai minimi storici; l’avanzo primario in aumento; i rapporti con la Commissione europea eccellente; l’occupazione è elevata.
Certo, la crescita economica è ancora debole dopo il rimbalzo post-pandemia, l’industria pesante fatica per mancanza di produttività e congiuntura internazionale, lo sviluppo tecnologico affanna. Ma si può dire che questa è una condizione che unisce tutti i Paesi europei. E che è dunque giusto riconoscere a Giorgetti più meriti che errori.