La joint venture Generali-Natixis annunciata nei giorni scorsi, che porterà alla creazione di un vero e proprio colosso europeo del risparmio gestito (il terzo in assoluto), non scalda i mercati (ieri in Borsa Generali ha recuperato quel poco che aveva perso il giorno precedente) ma riscalda la politica e continua a suscitare interrogativi sui tempi dell’operazione (da molti giudicati eccessivamente accelerati) e sul doppio ruolo rivestito da Mediobanca, che al tempo stesso è advisor e azionista.
Partiamo dai tempi, considerando il fatto che il cda Generali ha deciso l’operazione-monstre (nascerà un polo da 1.900 miliardi di euro di risparmi, 1.200 conferiti dal socio francese, oltre 650 dal Leone di Trieste) a tre mesi dalla scadenza del proprio mandato (e dell’ad), trattandosi peraltro di un’operazione che il comunicato stesso della società definisce "innovativa", e che quindi, a detta di molti, avrebbe probabilmente meritato un passaggio nell’assemblea dei soci (considerando anche il fatto che all’interno del Leone di Trieste le acque sono state sempre molto agitate, e basta ricordare le frizioni tra alcuni soci di primaria importanza come Francesco Gaetano Caltagirone e il Gruppo Del Vecchio da una parte e Mediobanca dall’altro).
Sotto la lente anche il ruolo di Mediobanca, che figura al tempo stesso advisor e azionista, una concomitanza in cui non pochi hanno ravvisato un possibile conflitto di interessi. Vedremo se di qui alla nascita del nuovo cda i dubbi circolati in più ambienti sulla mosse di Mediobanca saranno confermati.
Come sarà anche importante capire quale sarà il ruolo che nelle prossime settimane assumerà il governo italiano, tirato in ballo da più parti e in maniera bipartisan. La politica si è interrogata non poco sull’operazione, soprattutto sul peso che il socio italiano avrà nel futuro board, visto che, secondo quanto si è appreso, l’amministratore delegato di Bpce Namias ne sarà il presidente, mentre il numero uno di Generali, Donnet, funzionerà da vice. La guida operativa sarà affidata a Woody Bradford, amministratore delegato di Gih, mentre il suo omologo in Nim Philippe Setbon sarà il vice. Come non bastasse a far insorgere dubbi sulla "italianità" della holding c’è la sede, che sarà ad Amsterdam, mentre in Francia, Italia e Stati Uniti rimarranno gli ‘hub operativi’. La politica, in sostanza, nutre dubbi che una fetta consistente del destino del risparmio dei cittadini italiani venga decisa altrove.
A seguito dei dubbi già espressi nei giorni scorsi, ieri sono intervenuti importanti esponenti di Fratelli d’Italia, M5S e Pd. "Ricordo – ha detto in una nota Filippo Melchiorre, vicepresidente FdI della Commissione Finanze – che l’articolo 47 della nostra Costituzione tutela il risparmio. Difenderemo l’interesse dei risparmiatori e dei lavoratori italiani". Intervento a gamba tesa anche da parte dei Cinquestelle, a con il capogruppo al Senato Stefano Patuanelli. "Non può esserci chi non veda i rischi che potrebbero scaturirne per la tutela di risparmio italiano, tutelato dalla Costituzione, e la gestione del nostro debito pubblico. Per questo stiamo depositando un’interrogazione al ministero dell’Economia, affinché si chiarisca la posizione dell`esecutivo rispetto alla nascente piattaforma". Al governo si rivolge anche in Pd, per bocca del senatore Antonio Nicita, che chiede addirittura di esercitare la golden power "anche per valutare l’imposizione di eventuali prescrizioni, se i rischi di queste operazioni possano incidere e in che misura su investimenti e andamenti di titoli di Stato".
Pfdr