I dati sulla fuga di cervelli hanno ricevuto il bollino ufficiale. La certificazione arriva dall’Istat che, durante l’evento 'Italia 2023: Persone, Lavoro, Impresa', ha divulgato le statistiche sui giovani immigrati ed emigrati. Ebbene, negli ultimi dieci anni, ne abbiamo persi 239 mila; di questi, 79 mila erano in possesso al massimo della licenza media, 86 mila avevano conseguito il diploma e 74 mila erano invece arrivati alla laurea. Numeri importanti che fanno il paio con quelli, agghiaccianti, della denatalità, che, ormai da qualche decennio, attanaglia il nostro Paese. Insieme, i due fenomeni hanno già portato a una riduzione della popolazione italiana che è passata dal picco storico di 60.795.612 del 2014 a 59.030.133 nel 2021.
Nel giro di sette anni, l’Italia ha perso 1 milione e 800mila abitanti quasi quanto Milano e Genova messe insieme. Tornando al rapporto Istat, nel testo si evidenzia che “negli ultimi anni i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza sono costantemente aumentati e pochi hanno fatto ritorno”. Le conclusioni sono che “il costo in termini di perdita di capitale umano a sua volta è tanto più alto quanto più è elevato il titolo di studio di chi compie la scelta”.
Tra il 2011 e il 2020 (ultimo anno della rilevazione, ma nel 2021 il dato potrebbe essere peggiorato visto che la pandemia ha frenato le partenze) sono espatriati circa 321 mila giovani tra i 25 e i 34 anni. In altre parole, il 5,3% della popolazione di quella fascia d’età ha deciso di lasciare l’Italia. Sempre secondo l’Istat, i tassi di emigrazione e immigrazione sono più elevati sia tra chi possiede una bassa istruzione (fino alla licenza media), sia tra chi ne ha una alta (come la laurea), mentre sembrano essere inferiori per i diplomati. Tra chi ha conseguito un basso titolo di studio, dalle statistiche Istat emerge che emigrano 70 giovani su mille, senza sostanziali differenze di genere. Differenze che, invece, non solo sono presenti, ma risultano pure amplificate tra i giovani più istruiti: ogni mille uomini con elevato titolo di studio circa 87 si trasferiscono all’estero, mentre la propensione a emigrare delle giovani laureate è pari al 58 per mille.
E i rimpatri, su cui i passati governi hanno puntato attraverso generosi incentivi fiscali? Beh, sempre nel periodo 2011-2020, sono tornati in Italia 82mila giovani. Nel dettaglio, i tassi di rientro sono più alti per chi ha una bassa istruzione rispetto a chi ha il diploma (rispettivamente 14 e 10 per mille). Entrambe le classi, però, registrano una percentuale di rimpatri inferiori rispetto a chi ha la laurea (22 per mille). Inoltre, differenze di genere nei tassi di rientro emergono soltanto per i laureati. Sono soprattutto i maschi infatti a rimpatriare: 28 laureati su mille contro 19 laureate su mille. Numeri che devono far riflettere. Anche perché, se l’Italia vuole recuperare competitività deve spingere soprattutto sul capitale umano che, troppo spesso in passato, è rimasto in secondo piano nei programmi dei governi. E questo non solo puntando su un aumento del numero di immatricolazioni all’università ma anche incentivando i giovani che sono stati già formati dal nostro sistema di istruzione a rimanere.