PORTOGALLO e Spagna hanno innescato da tempo (ultimo trimestre 2014) le marce alte, per accelerare il rilancio del Pil e recuperare almeno parte di quanto eroso nei precedenti cinque anni. Entrambi gli Stati, dovrebbero confermare nell’anno in corso una crescita prossima al 2%, dato dovuto al turismo, vicino ormai agli anni d’oro, all’export e, per la Spagna, al recupero di competitività della propria industria manifatturiera. Noi viceversa, pur disponendo di un’industria ben più forte e competitiva, e di una potenziale attrattività turistica di gran lunga superiore alla loro, avremo un Pil in crescita di molto meno della metà del loro per quest’anno e poco oltre nel 2016. Differenze sostanziali di crescita che pesano molto sulla fiducia nel futuro. Il governatore Visco ha ribadito che il processo di ripresa sarà lungo, debole e caratterizzato da rallentamenti, richiamando tutti all’obbligo di procedere rapidamente nelle riforme.
GIUSTO ed opportuno, ma la differenza di crescita tra noi e gli spagnoli e i portoghesi sta in fattori endogeni al nostro Paese: la continua delocalizzazione delle grandi imprese, che ha innescato un forte calo dell’occupazione, agendo da deterrente per i consumi interni; calo che ha prodotto ulteriore erosione degli occupati nel commercio e servizi, e favorito la propensione al risparmio, anziché alla spesa. Spagna e Portogallo pur avendo le nostre stesse debolezze nei fondamentali-Paese, hanno saputo spingere sull’acceleratore del turismo e su quello di una spesa pubblica, pro-modernizzazione, che ha consentito di limare la disoccupazione, che comunque resta, insieme al deficit pubblico, ben più elevata della nostra. A fare però la vera differenza, sono gli oltre 10-12 punti della nostra maggior pressione fiscale. Una differenza che, assieme alla nostra farraginosa burocrazia, allontana gli investimenti e stimola le delocalizzazioni produttive e riduce le possibilità di rilanciare l’occupazione. Il Governo, purtroppo, non è riuscito ad utilizzare l’arma della diminuzione della spesa pubblica e soprattutto i suoi sprechi, unica vera condizione per alleggerire la pressione fiscale e ridare fiato all’economia reale.