Nuovo tonfo a Wall Street per First Republic, che crolla del 39,26% e viene sospesa ripetutamente. Con l'ennesimo calo la capitalizzazione di mercato della banca scende sotto un miliardo di dollari.
La banca in difficoltà
Una difficoltà che prosegue da diversi giorni e che ieri ha portato alla circolazione di notizie che riportavano come First Republic stesse valutando la vendita di 50-100 miliardi di dollari di asset nel tentativo di rilanciarsi. Lo riportava l'agenzia Bloomberg citando alcune fonti, secondo le quali i potenziali acquirenti potrebbero ricevere garanzie o azioni privilegiate come incentivo all'acquisto a prezzi superiori a quelli di mercato.
Cos’è First Republic Bank
First Republic Bank è una banca commerciale fornitrice di servizi di gestione patrimoniale con sede a San Francisco. Gestisce 93 uffici in 11 stati degli Stati Uniti, principalmente a New York, California, Massachusetts e Florida. Al 31 dicembre 2022, la società aveva 166 miliardi di dollari di prestiti in essere, inclusi 102 miliardi di prestiti garantiti da immobili residenziali, 34 miliardi di prestiti garantiti da immobili commerciali che producono reddito, 18 miliardi di prestiti commerciali e 10 miliardi in altri prestiti. I prestiti collaterali garantiti erano prevalentemente nelle aree metropolitane di Boston, New York, San Francisco e Los Angeles.
Negli Stati Uniti i fari tornano dunque ad accendersi intorno alla situazione di una banca dopo il fallimento della Silicon Valley Bank che aveva trascinato con sè altri istituti bancari regionali. Eco delle difficoltà delle banche che si era riverberata su tutti i mercati internazionali e che aveva visto andare in crisi anche Credit Suisse, la seconda banca Svizzera, poi salvata dal Governo elvetico grazie all’intervento di Ubs (la prima banca svizzera).
Borse mondiali in difficoltà
Difficoltà delle banche americane che si ripercuotono anche si mercati europei. Chiusura in calo per la Borsa di Milano, appesantita da una nuova ondata di vendite sul comparto bancario. L'indice Ftse Mib ha terminato la sessione in ribasso dello 0,54% a 27.107 punti. A riaccendere i timori sullo stato di salute del comparto del credito e' stato il nuovo crollo di First Republic Bank. Nei primi tre mesi dell'anno la banca con sede a San Francisco ha registrato la fuga di oltre 100 miliardi di dollari di depositi. Ulteriore cautela è stata aggiunta dall'attesa per il dato sul Pil Usa nel I trimestre, che sara' diffuso domani, e da quella per le riunioni di Fed e Bce la prossima settimana.
Giù il petrolio, su lo spread
Seduta negativa per le Borse europee, come per Wall Street, sulla scia dei timori di un proseguimento della stretta monetaria da parte della Bce e della Fed. Il titolo di First Republic crolla di quasi al 40% e in giornata viene sospeso ripetutamente. Buone, però, le trimestrali di Microsoft e Alphabet, che fanno ben sperare nei big tech. Al Ttf di Amsterdam in discesa il prezzo del gas attorno ai 38 euro al megawattora. In calo il prezzo del petrolio, con Brent e Wti che diminuiscono di oltre lo 0,6%. A Milano il Ftse Mib chiude in negativo: segna una discesa dello 0,54% a 27.107,51 punti. In rialzo lo spread tra Btp e Bund tedeschi, che si muove sui 189 punti base. In calo anche il rendimento del titolo decennale, attorno al 4,24%.
Banche in calo
Sul listino principale di Piazza Affari bene Tim (+1,62%) e le utilities. In coda, invece, le banche, che scontano ancora gli scivoloni di First Republic. Unicredit perde l'1,93%. Nell'ambito del programma di acquisto di azioni ordinarie, l'istituto ha comunicato che ha acquistato 10,24 milioni di azioni proprie, al prezzo medio ponderato di 19,438 euro per azione, per un controvalore complessivo di 199 milioni di euro. Performance negative anche per Banco Bpm (-5,57%), Mps (-5,43%) e Bper Banca (-6,73%). Spicca infine il ribasso di Prysmian (-3,28% a 35,94 euro), forse in scia con lo scivolone subito dal gruppo francese Nexans, dopo la diffusione dei risultati trimestrali.
Rischio fallimento?
Gli advisor di First Republic hanno contattato le grandi banche americane - già intervenute in passato per aiutare l'istituto - nel tentativo di convincerle a scendere in campo. La teoria cavalcata è quella della 'convenienza’: le perdite realizzate con acquisti sopra il prezzo di mercato sarebbero infatti in ogni caso inferiori alle commissioni che le banche si troverebbero a pagare alla Federal Deposit Insurance Corp se First Republic fallisse.
“È una delle strade che si sta valutando ma non ci sono garanzie che si trovi un'intesa", riferiscono alcune fonti. Le grandi banche infatti sono scettiche all'ipotesi paventata e all'assunzione di nuove perdite a meno che il governo americano non tenda loro la mano o offra delle agevolazioni.
Già vicina al collasso
Il mese scorso First Republic ha evitato il collasso grazie all'intervento delle 11 maggiori banche americane che hanno parcheggiato 30 miliardi di depositi nell'istituto. Una mossa che ha tranquillizzato ma solo momentaneamente: i conti del primo trimestre dell'istituto californiano hanno infatti riacceso i timori e avviato una corsa al ribasso dei titoli per la quale, finora, non si intravede una fine.
Un tonfo che sta riaccendendo i timori sulle stato di salute del settore bancario americano e rallentando Wall Street, sulla quale iniziano ad affacciarsi anche le paure per l'aumento del tetto del debito. Il muro contro muro fra la Casa Bianca e i repubblicani infatti prosegue, allontanando la prospettiva di un accordo e avvicinando quella di un default dalle potenziali conseguenze catastrofiche. Creato nel 1917 per finanziare più facilmente la prima Guerra Mondiale, il tetto del debito è divenuto motivo di scontro politico negli ultimi 25 anni. Nel 1995 e nel 1996 la battaglia sul debito causò due shutdown del governo. Nel 2021 con Barack Obama presidente si tradusse nel primo downgrade del rating americano. Al momento il tetto del debito - l'ammontare massimo che il governo può prendere a prestito per pagare conti esistenti, e che quindi non implica nuove spese - è fissato a 31.400 miliardi di dollari.