IL RAPPORTO DRAGHI propone diverse misure di politica industriale che mirano a ridurre il crescente divario di crescita della produttività fra Europa e Stati Uniti. Il dibattito su questo tema è quanto mai attuale alla luce del rallentamento dell’economia tedesca e del risultato delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. La letteratura economica ha da tempo individuato l’esistenza di un paradosso europeo che vede il Vecchio Continente ricoprire una posizione di primissimo piano in termini di produzione scientifica mentre dimostra delle forti difficoltà a tradurre la ricerca scientifica in ricerca applicata ed innovazioni nel tessuto economico europeo.
A questo scenario il Rapporto Draghi aggiunge che in settori digitali, ed in particolare l’Intelligenza Artificiale, l’Europa sembra essere indietro sia sul piano della ricerca applicata che di base. Due proposte vengono fatte al riguardo. La prima riguarda la creazione di campioni Ue, sulle righe di quanto è stato fatto con Airbus per il settore dell’aviazione, coordinati da un incubatore IA simile al Cern, in linea con quanto già proposto da economisti dell’innovazione. Il secondo aspetto che il Rapporto Draghi sottolinea concerne la regolamentazione che l’Ue ha messo in campo negli anni recenti – dalla Gdpr al Digital Market Act, Digital Service Act, Data Act, Data Governance Act, e recentemente AI Act. Il timore è che queste regolamentazioni possano essere un freno all’innovazione soprattutto per le Pmi, rendendo troppo oneroso intraprendere il rischioso processo innovativo.
D’altra parte, va considerato che l’Ue ha uno storico molto positivo in termini di regolamentazione dei mercati e di protezione dei consumatori. Potendo contare su competenza tecnica di alto livello e su una dimensione sostanziale del Mercato Unico, l’Ue è riuscita ad imporre le sue regolamentazioni – soprattutto in materia di protezione della privacy e di governance dei dati – come un ‘benchmark’ internazionale adottato in tutto il mondo.
Più in generale, se la transizione digitale attualmente in corso ha un grande potenziale per la crescita ed è importante che le regolamentazioni non frenino l’innovazione, è ugualmente importante considerare che beni e servizi digitali hanno caratteristiche economiche peculiari, e sono spesso non rivali ma escludibili. Questo vuol dire che le imprese possono produrre su larghissima scala e allo stesso tempo escludere possibili concorrenti dal mercato.
Questo ha due conseguenze che nel medio periodo possono rallentare l’innovazione e la crescita economica. In primo luogo, è possibile che si generino ’winner-takes-all-markets’, ovvero mercati molto volatili ma anche molto concentrati in cui gli attori dominanti godono di monopoli a spese dei consumatori. In secondo luogo, se l’innovazione digitale si basa sull’uso intensivo di basi di dati che non sono accessibili a tutti questo può ridurre la diffusione dell’innovazione. Alla luce di ciò, il tema della regolamentazione di attività digitali richiede un approccio più pragmatico che permetta di bilanciare da un lato gli incentivi per le imprese europee ad innovare e dall’altro assicuri che l’innovazione e la crescita si diffondano nel tessuto economico, garantendo al contempo la protezione della privacy – che nella regolamentazione europea è un diritto – e dei diritti digitali di tutti i cittadini europei.
In aggiunta a queste sfide che riguardano la natura intangibile della rivoluzione digitale, l’Ue deve anche considerare gli aspetti, molto più tangibili, infrastrutturali. Gli investimenti in infrastrutture digitali sono sempre più importanti alla luce delle turbolenze geopolitiche recenti e dell’incertezza che annunciano i risultati delle elezioni statunitensi. Infrastrutture come data centres, server e cloud sono la componente fisica della transizione digitale. Un numero crescente di imprese si appoggiano a data centres e server privati per sviluppare servizi digitali che utilizzano il cloud, big data e l’intelligenza artificiale. Queste sono infrastrutture che richiedono grandi investimenti, comportano altissimi consumi energetici con conseguenze ambientali considerevoli e servono imprese in tutto il mondo agendo creando quindi effetti di rete globali. In termini assoluti, la maggior parte dei data centres di ultima generazione è concentrata in Usa, Regno Unito e Germania, che sono i principali produttori di servizi digitali. Da un’analisi svolta dal Leap (Luiss Institute for European Analysis and Policy) emerge però che la distribuzione di data centres per abitante è estremamente concentrata in piccole economie che offrono regimi fiscali molto favorevoli e rappresentano destinazioni privilegiate del ’profit shifting’ legato ai diritti di proprietà intellettuale.
La localizzazione delle infrastrutture digitali non riflette solo aspetti economici, ambientali o fiscali, ma anche geopolitici, riflettendo le affinità con i principali fornitori di cloud statunitensi o cinesi. Questi allineamenti sono di grande importanza per le relazioni commerciali fra paesi e data la loro natura di network possono amplificare le conseguenze economiche di shock geopolitici. In conclusione, è necessario che l’Europa abbia un nuovo ruolo sullo scenario globale nella rivoluzione digitale. Questo però richiede di sviluppare regolamentazioni che favoriscano l’innovazione e la sua diffusione e allo stesso tempo di garantire un accesso sicuro e costante alle infrastrutture digitali per le imprese e gli innovatori europei.
* Coordinatrice area di Politica Industriale Leap, ricercatore Leap