Sabato 27 Luglio 2024

Le politiche delle banche centrali e i listini borsistici

Il tasso di interesse del benchmark influisce sull'investimento in borsa. Da Tina a Tara, le alternative variano. Le mosse delle banche centrali sono cruciali.

Le politiche delle banche centrali e i listini borsistici

Le politiche delle banche centrali e i listini borsistici

UNO DEGLI ELEMENTI più importanti per valutare quanto sia conveniente o meno investire nelle borse è il tasso di interesse del benchmark di riferimento. Un tasso di interesse particolarmente basso non offre molte alternative a un investimento nel mercato azionario, che risulterà meno caro anche a parità di valutazione. Durante il periodo di rendimenti negativi, questo ha dato origine all’acronimo Tina (There Is No Alternative) e quindi diversi investitori hanno cercato il rendimento allungando le scadenze nei titoli obbligazionari e investendo sulla borsa per il resto del loro portafoglio. Quando è poi subentrata l’inflazione e i rendimenti sono saliti anche in seguito alle politiche di rialzo dei tassi praticate da diverse banche centrali – su tutte la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea e la Banca d’Inghilterra - è spuntato un nuovo acronimo: Tara (There Are Real Alternatives). Pertanto, ci sono reali alternative a un investimento in borsa che va ponderato a seconda delle aspettative dei mercati e del profilo di rischio dell’investitore/risparmiatore.

Come procedere quindi? Quali considerazioni deve fare un investitore? Le banche centrali, aumentando o riducendo il tasso di interesse, influenzano la politica sul credito e di conseguenza la curva dei rendimenti, che è quella che determina la preferenza di un investimento nel mercato azionario piuttosto che in quello obbligazionario. Detta curva abitualmente incorpora anche le aspettative di futuri movimenti da parte dei policy maker e per tale ragione si possono avere anche limitate reazioni a un annuncio ufficiale perché già considerate e quindi assorbite dai prezzi. In tutto questo, ci può anche essere una componente di inflazione generata dalla borsa (in America più che in Europa), in quanto guadagni borsistici contribuiscono ad aumentare le risorse disponibili dei risparmiatori che potrebbero decidere di utilizzarle per qualche acquisto discrezionale. Andiamo ora a vedere cosa succede a livello societario. Con tassi alti, sarà più difficile per le società ottenere prestiti e in questo caso sono da preferire le società a grande capitalizzazione, che spesso non hanno debito o hanno un debito ben controllato (guardare il rapporto debito/margine operativo lordo: se è minore di 2 la società è ben capitalizzata, se è tra 2 e 4 c’è qualche preoccupazione per la sostenibilità del debito, se superiore a 4 bisogna fare attenzione). Dette società in molti casi generano free cash flow che può essere usato per dividendi e acquisto di azioni proprie a vantaggio degli investitori. Un aiuto alla scelta è anche il confronto fra il rendimento del Treasury Bond a 10 anni e quello dei dividendi dell’indice Standard & Poor’s 500, molto usato in finanza, con il consiglio di preferire quello tra i due al momento più alto (in questo caso, quello dei Treasury) tendo anche conto che un periodo di tassi alti e di stretta del credito porta normalmente a una contrazione dell’economia (anche se in America la recessione, ormai invocata da più di un anno, non si è fin ora presentata) ed è quindi sempre meglio puntare su aziende affermate, con ricavi ricorrenti e meglio equipaggiate per la tempesta. Con tassi bassi succede esattamente l’opposto: la facilità di accesso al credito stimola l’economia e le società più piccole (che di solito hanno una crescita maggiore, una valutazione più ricca e fanno più ricorso a prestiti) saranno quelle da preferire.

I tassi più bassi inoltre, stimoleranno anche il mercato, sia perché le valutazioni, a parità di multipli, saranno più economiche, sia perché aumenta l’incentivo ad un investimento in borsa a causa dei bassi rendimenti di conti correnti e obbligazioni (anche se il consiglio a coloro che fossero in caccia di dividendi è di concentrarsi sull’indice Dow Jones Industrials e non sullo Standard & Poor’s 500). Detto questo, quali potrebbero essere le mosse delle banche centrali? La lotta all’inflazione è stata più efficace in Svizzera (inflazione scesa all’1.3%) e la Swiss National Bank è stata l’unica tra le grandi banche centrali che nel 2024 ha già tagliato due volte il costo del denaro. L’Inghilterra al momento è ferma, non avendo raggiunto l’obiettivo dell’inflazione al 2%, ma ci sono aspettative di tagli forse nella seconda metà dell’anno. In Europa il tentativo di domare il rialzo dei prezzi ha ottenuto qualche successo (inflazione al 2.5% in giugno) e la Bce ha ridotto il costo del denaro di 25 punti base a giugno e le previsioni sono per ulteriori ribassi di 25 punti base entro la fine dell’anno. E veniamo alla Federal Reserve, che ancora non si è mossa.

La banca centrale americana è quella più indietro nella lotta all’inflazione; nel recente discorso di Sintra, il governatore Jay Powell ha detto che sono stati fatti dei progressi, ma il comitato non si sente ancora così confidente sulla riduzione dell’inflazione da abbassare al momento i tassi. Le previsioni comunque sono positive, e la FED probabilmente effettuerà una riduzione di 50 punti base in totale da qui alla fine dell’anno, a settembre e a dicembre. E questo sarebbe certamente un buon risultato considerato come sono andati i mercati in questo 2024, anche se ben poca cosa rispetto ai 5-7 tagli pronosticati a inizio anno. Alla luce di tutto ciò, le previsioni per i mercati azionario e obbligazionario sono ancora positive da qui alla fine dell’anno; se e quando i rendimenti dei Treasury americani saranno sotto il 4% sarà il momento di poter puntare su Wall Street con maggior fiducia.

* Consulente finanziario autonomo