Mercoledì 4 Dicembre 2024
REDAZIONE ECONOMIA

Le nuove sfide ai modelli di welfare in Europa

Il processo di digitalizzazione e le trasformazioni sociodemografiche richiedono un ripensamento dei modelli di welfare per affrontare nuovi rischi sociali. L'investimento sociale può favorire la crescita inclusiva e la coesione economica in Europa.

Le nuove sfide ai modelli  di welfare  in Europa

Il processo di digitalizzazione e le trasformazioni sociodemografiche richiedono un ripensamento dei modelli di welfare per affrontare nuovi rischi sociali. L'investimento sociale può favorire la crescita inclusiva e la coesione economica in Europa.

LO SVILUPPO delle tecnologie digitali e le trasformazioni sociodemografiche in atto generano nuovi rischi sociali che, per essere adeguatamente affrontati, richiedono un profondo ripensamento dei modelli di welfare. Il processo di digitalizzazione ha messo in luce delle marcate disuguaglianze nell’accesso alle risorse tecnologiche, conducendo a nuove forme di discriminazione ed esclusione. Alcune caratteristiche delle tecnologie digitali, ad esempio, fanno sì che i consumatori trovino convenienza nell’adottare i sistemi più utilizzati, contribuendo alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi giganti tecnologici. Al contempo, l’automazione dei processi produttivi minaccia di porre ai margini del mercato del lavoro quei lavoratori con competenze e conoscenze meno adattabili alle professioni emergenti, aumentando il rischio di disoccupazione. Il progressivo invecchiamento della popolazione, invece, sta creando nuovi bisogni legati alla cura e all’assistenza, con una conseguente crescita della pressione sui sistemi di protezione sociale che ne mette a repentaglio la sostenibilità. Ad aggiungere ulteriore complessità a questo quadro, troviamo il recente susseguirsi di shock esterni – come pandemia, disastri ambientali e conflitti bellici – che hanno condotto la società globale in uno stato di ’policrisi’. Questa concomitanza di più squilibri determina dei costi sociali che si traducono in una crescita delle disuguaglianze socioeconomiche esistenti, alimentando un generale senso di incertezza e precarietà che trova manifestazione nel crescente malcontento espresso soprattutto dalle nuove generazioni.

Una rinnovata attenzione alle politiche di welfare appare, quindi, sempre più necessaria poiché, di fronte alle sfide imposte dalle trasformazioni già menzionate, le tradizionali misure di assicurazione sociale si rivelano sempre meno adeguate nel garantire un efficace sostegno contro la molteplicità di rischi che i cittadini si trovano ad affrontare. Nell’ambito della letteratura politologica, l’importanza di individuare nuove soluzioni ai rischi sociali emergenti ha portato all’affermazione di un paradigma definito come ’investimento sociale’. Si tratta di un approccio che combina i tradizionali strumenti di protezione con misure orientate allo sviluppo del capitale umano, come i servizi sanitari, le politiche attive del lavoro e la formazione continua.

In questo ambito, il Luiss Institute for European Analysis and Policy (Leap) ha condotto uno studio

empirico sull’Unione europea volto a verificare come l’orientamento all’investimento sociale possa essere uno dei fattori che spiegano i differenziali di prosperità economica tra Paesi, favorendo una crescita inclusiva e permettendo di conciliare equità ed efficienza. Se, infatti, la spesa in protezione sociale svolge una funzione essenziale di stabilizzazione, quella in sanità e istruzione può contribuire ad accrescere la qualità del capitale umano, con effetti positivi sulla produttività del lavoro e promuovendo una maggiore uguaglianza di opportunità. I risultati dell’analisi longitudinale, condotta sul periodo 2000-2022, confermano l’ipotesi di fondo: i differenziali nei livelli di investimento sociale si traducono in una marcata disparità di benessere socioeconomico tra i Paesi Ue. Nonostante gli Stati dell’Est Europa (i cosiddetti ’new entrants’) abbiano registrato la maggiore crescita nella spesa sociale tra il 2000 e il 2022 (+3,5% di tasso di crescita medio), i divari rispetto ai Paesi dell’Europa continentale e settentrionale restano ampi. L’area mediterranea, che ha accusato duramente il colpo inferto dalla crisi finanziaria del 2007-2008 e dalla successiva crisi del debito sovrano, ha perso terreno. L’Italia, nel dettaglio, è cresciuta a un tasso medio dell’1%, la metà del livello Ue, con un forte arretramento del suo modello di welfare. In particolare, settori come sanità e istruzione hanno fortemente risentito dei tagli alla spesa pubblica necessari a mantenere sotto controllo il debito. L’effetto, nel lungo periodo, rischia di essere controproducente, rallentando la crescita della produttività del lavoro e del Pil pro-capite.

Queste evidenze ci inducono a riflettere sul ruolo che l’Europa può giocare per rafforzare l’investimento sociale e, attraverso questo, la produttività e il benessere nel medio-lungo periodo. La Strategia di Lisbona ha rappresentato per l’Ue un punto di partenza per avviare un processo di ripensamento dei modelli di welfare in un’ottica di investimento sociale. L’attenzione verso tale paradigma è testimoniata anche dall’introduzione, nel 2013, del Social Investment Package e dal suo riconoscimento come presupposto fondamentale delle strategie di crescita inclusiva. Tuttavia, le disparità esistenti tra Paesi in termini di investimento sociale rappresentano un potenziale ostacolo al raggiungimento della coesione economica e civile, essenziale per realizzare appieno l’integrazione europea e garantire all’Ue una maggiore competitività nell’arena globale. Come anche sottolineato nel recente Piano Draghi, è fondamentale puntare su uno ’stato sociale europeo’, superando le attuali differenze tra i modelli di welfare esistenti. L’investimento sociale dovrebbe, dunque, essere una priorità europea, poiché, bilanciando equità ed efficienza, può rendere il Vecchio Continente un esempio di crescita inclusiva, capace di unire progresso economico e coesione sociale. I Commissari Gentiloni e Schmit hanno avanzato l’idea di rendere permanente uno strumento di finanziamento comune tipo Sure, ma incentrato sulle competenze. Questa proposta potrebbe essere ripresa dalla nuova Commissione europea e allargata per ricomprendere il concetto di investimento sociale.

* Direttrice Leap, ricercatore Leap