Venerdì 2 Agosto 2024

Investimenti in startup. È l’ora di risovere la crisi

Il sistema delle startup in Italia necessita urgentemente di un cambio di approccio per attrarre investimenti e favorire la crescita. La mancanza di finanziamenti e di una cultura del rischio sta frenando lo sviluppo del settore, mentre altre città europee primeggiano. È necessario creare un ecosistema più denso e favorire la collaborazione per sfruttare appieno il potenziale delle startup italiane.

Investimenti in startup. È l’ora di risovere la crisi

INDIETRO DI DIECI ANNI Le startup attive in Italia sono 16.500, in calo del -3.5% rispetto al 2022, soltanto una su 10 fondata da una donna. Quanto agli investimenti l’Italia sembra regredita di 10 anni: l’exploit del 2022 è solo un ricordo, già nel 2023 il volume di round raccolti in Italia è sceso a circa 1,13 miliardi

UNA FRASE ABUSATA, eppure ancora quanto mai necessaria: fare sistema. Ovvero creare quelle condizioni di cultura, scambio e incontro con finanziatori di cui il sistema delle startup ha bisogno oggi più di ieri. Ne ha bisogno perché a fronte di un miglioramento qualitativo delle startup nazionali, i finanziamenti sono diminuiti. Perché si sono affermate nuove zone di incubazione, ma senza massa critica guardiamo da lontano il dinamismo di altre città come Londra, Berlino, Amsterdam, Parigi o Lisbona dove nascono nuove imprese e posti di lavoro. Sono trascorsi ben 11 anni dall’approvazione dello Startup Act, un’era geologica considerando la velocità dei cambiamenti tecnologici. Ma non muta l’approccio di istituzioni e investitori fondato su diffidenza a investire in imprese giovani ad alto potenziale, è ancora troppo debole la cultura del rischio, la burocrazia rimane invasiva e manca anche una cultura finanziaria che spinga ricchezza e risparmio in investimenti verso l’economia del presente e del futuro. Tanto per dare un po’ di numeri di scenario, oggi le startup attive in Italia sarebbero 16.500, in calo del -3.5% rispetto al 2022, soltanto una su 10 fondata da una donna. Quanto agli investimenti poi, l’Italia sembra regredita di 10 anni: l’exploit del 2022 (2.2 miliardi di euro) è solo un ricordo, già nel 2023 il volume di round raccolti in Italia è sceso a circa 1.13 miliardi, mentre il 2024 mostra un ulteriore crollo a 250 milioni nella prima metà dell’anno. Il confronto con il resto dell’Europa è impietoso: le oltre 40.000 startup europee scelgono di concentrarsi a Londra, Amsterdam, Parigi, Berlino, Lisbona, incontrando un volume di finanziamenti che lo scorso anno ha raggiunto i 41 miliardi di euro, e trovandosi fianco a fianco con un numero di investitori professionali mediamente dieci volte superiore a quella italiana, e soprattutto condizioni di investimento competitive ed orientate al sostegno delle maggiori ambizioni.

Come fare a invertire la crisi? Le startup possono nascere ovunque, ma crescono negli ecosistemi ed è fondamentale creare densità perché gli ecosistemi siano di valore. Le tante microisole di innovazione italiane devono mettersi a sistema per diventare “sorgenti” e occorre concentrare le “teste” delle startup più promettenti a Roma e Milano, dove possono trovare supporto da professionisti del venture business e connessione con gli attori internazionali, tenendo la ricerca e sviluppo nei territori di origine. I founder italiani devono contaminarsi e inserirsi nel flusso globale dei finanziamenti, mentre compito di Atenei, acceleratori e investitori locali è riuscire ad adottare la corretta cultura di settore, costruire le metriche di scalabilità, preparare i team agli investitori esteri, aiutati da una cornice legislativa più efficace. Sono ancora troppo poche infatti le startup basate qui che riescono a crescere sui mercati mondiali, mentre la necessità di uscire dai ristretti confini del mercato domestico spinge molti founder a lanciare le proprie aziende direttamente in nazioni che ospitano filiere più favorevoli per diventare imprese globali. L’appello è dunque quello di aggiornare le regole e favorire le occasioni di scambio culturale, di cui oggi si fa portatrice la Rome Startup Week che si svolgerà il 19 e 20 settembre al Gazometro della Capitale. Appuntamento che vuole essere la forza centripeta capace di connettere le energie e il talento imprenditoriale, le isole di innovazione, i network di mentoring e i flussi di capitali nazionali e internazionali, con particolare riferimento all’area del Mediterraneo e agli investitori globali basati negli Usa e nel Regno Unito. E anche l’occasione per lanciare un nuovo manifesto corale: un nuovo Startup Act che costruisca attorno ai tanti punti di forza del settore iniziative più organizzate e normative più favorevoli, allineando gli ecosistemi italiani con quelli più maturi.

È la scuola “estera” ad aver favorito la specializzazione di Acceleratori, Angel e Venture Capital, grazie a molti giovani rimpatriati che hanno importato in Italia expertise e idee. La direzione dei rientri è quella più impattante sul valore presente in Italia. Eppure i finanziamenti restano pochissimi e concentrati al Nord, e spesso risultano troppo prudenti: alla ricerca non di progetti più ambiziosi ma di quelli meno rischiosi, che è il contrario della matematica del Venture Capital. Intorno agli errori da eliminare e le azioni da potenziare c’è un intero mondo da esplorare. Non possiamo permetterci di perdere nulla di questo potenziale, soprattutto in un’ottica di transizione Green, e per farlo basterebbe seguire poche e semplici proposte: replicare i modelli di successo della Silicon Valley, investire su progetti ambiziosi con impatto globale anziché su poche imprese più prudenti, aggregare le comunità di innovazione per non disperdere il talento, dare fiducia al sistema con finanziamenti che non abbiano pretese di ritorni nel breve periodo e adottare condizioni di investimento più vantaggiose per i nuovi imprenditori, perché non espatrino. Tutto questo non sarà possibile senza nuove leggi e regole, maggiore indipendenza e libertà tra le imprese europee e maggiori investimenti pubblici e privati per il trasferimento di tecnologia e condivisione di capitale umano e finanziario tra i Paesi Ue. Se il nanismo è ancora uno dei principali problemi della Pmi italiane, non possiamo condannare a questo anche l’ecosistema delle startup continuando a cercare una improbabile “via italiana”.

* Presidente di Roma Startup