Milano, 18 settembre 2023 – Più di 19 miliardi di euro. È il saldo negativo registrato in Italia dalla raccolta dei fondi comuni di investimento, durante il primo semestre del 2023, secondo gli ultimi dati diffusi dalla sigla di categoria Assogestioni. Detto in parole povere, ciò significa che i risparmiatori italiani oggi acquistano i fondi comuni molto meno di prima e la quantità di soldi disinvestiti nell’arco degli ultimi sei mesi ha superato ampiamente il valore delle nuove sottoscrizioni. Si tratta di un cambiamento di abitudini per i nostri connazionali che, per quasi 15 anni, da quando i tassi d’interesse sono colati a picco, hanno snobbato invece le obbligazioni e i titoli di stato, acquistando a man bassa i prodotti del risparmio gestito, non soltanto i fondi ma anche le polizze assicurative a contenuto finanziario. ora, però, la prospettiva sembra essersi ribaltata.
I tassi d’interesse sono cresciuti nell’ultimo anno a ritmi sostenuti, sia negli Stati Uniti che in Europa. E così, i titoli di stato, le obbligazioni e anche i depositi bancari sono tornati a garantire interessi un po’ più corposi di prima, dopo esser stati a lungo troppo avari. Nel caso dei Bot con scadenza a 3 mesi emessi nelle ultime aste estive, per esempio, gli interessi liquidati ai risparmiatori sono pari a poco più del 3% lordo e a circa il 2,6% al netto delle tasse (compresa l’imposta di bollo). Più generosi i Bot a 6 mesi che, sempre nelle ultime aste estive, rendevano su base annua il 3,8% lordo (corrispondente più del 3% netto).
Tradotto in soldoni, chi investe nei Bot una somma di 100mila euro, oggi si porta a casa circa 3mila euro di interessi, che salgono invece sopra i 4mila euro se i titoli scelti sono invece i Btp (Buoni del Tesoro Poliennali) che hanno scadenze più lunghe e rendono oltre il 4%. Più generosi sono diventati anche i conti di deposito, che danno interessi fino al 4-5% annuo (corrispondente al 3-3,8% netto) a chi è disposto a tenere i soldi in giacenza per un periodo di almeno 12 mesi o addirittura per 4 o 5 anni.
I titoli e gli strumenti finanziari a reddito fisso, insomma, sono tornati ad allettare i risparmiatori di tutta la Penisola, che tradizionalmente sono avversi al rischio e amano molto avere un interesse predeterminato. Proprio per questa ragione, i fondi comuni di investimento sembrano aver perso il loro tradizionale appeal, visto che non hanno rendimenti predeterminati e non garantiscono le stesse certezze dei bond.
Ma è una scelta giusta rifugiarsi nelle obbligazioni e nei titoli di stato e voltare le spalle al risparmio gestito? Purtroppo non va dimenticato che Buoni del Tesoro e molti bond, benché più redditizi di un tempo, oggi non riescono ancora a battere l’inflazione che rosicchia il potere di acquisto dei risparmi e nel 2023 si è attestata in Italia sul 5,9%. Non basta dunque il 3-4% di interessi per proteggere il proprio capitale dall’azione erosiva del caroprezzi. Il discorso cambia, però, se l’impennata dell’inflazione che si è vista nell’ultimo biennio dovesse smorzarsi e nel 2024, come prevede l’Unione Europea, l’aumento del costo della vita dovesse tornare sotto i tre punti percentuali, attestandosi al 2,9%.
Se questa previsione si avverasse, allora mettere nel portafoglio una buona dose di bond e titoli di stato che rendono oltre 4 punti percentuali potrebbe rivelarsi alla fine una scelta azzeccata. Ovviamente nessuno ha la sfera di cristallo ed è difficile fare previsioni su cosa accadrà nell’arco di 12 mesi. Comunque vadano le cose, però, una cosa sembra certa: tra i risparmiatori e gli amati titoli a reddito fisso c’è oggi un ritorno di fiamma.