Mercoledì 16 Ottobre 2024

Fast fashion, ripresa dei consumi. Il lusso cede la passerella

Il settore della moda di lusso perde terreno a favore del fast fashion, con ribassi significativi per i grandi brand. Tuttavia, alcuni marchi italiani mantengono una crescita costante, come Ovs, Moncler, Brunello Cucinelli e Prada, nonostante le sfide del mercato.

Fast fashion, ripresa dei consumi. Il lusso cede la passerella

L’ANDAMENTO DEI MAGGIORI TITOLI Nel complesso, nell’ultimo anno i primi dieci marchi del fast fashion hanno accumulato una crescita del 13%, ben oltre il +3% dei primi dieci nomi dell’industria del lusso. Ad appesantire è stata la cattiva performance dei titoli di nomi importanti come Kering (-32%), Hugo Boss (-41%) e Burberry (-51%)

A MILANO si celebrava la settimana della moda poco fa, ma sembra ci sia poco da festeggiare per i titoli dei grandi brand della moda lusso che, nei primi otto mesi di questo 2024 e dopo cinque anni di dominio, hanno dovuto cedere la passerella all’incedere del fast fashion. Senza contare poi l’andamento del settore dopo la ripresa settembrina, che sta registrando una lunga serie di ribassi a causa dell’alta volatilità e dei dati poco incoraggianti sui consumi e sull’andamento dell’economia. Tali ribassi non hanno guardato in faccia a nessuno, coinvolgendo giganti come Lvmh, ma anche Ab Food, proprietaria delle catene di abbigliamento a marchio Primark. Questo però è l’andamento di un mese, cui una nuova ricerca svolta dalla community di investimenti eToro contrappone un’analisi più sul lungo periodo, che mette a confronto le performance, al 30 agosto 2024, di dieci dei maggiori esponenti del comparto high street con quelle di dieci capisaldi del lusso di Europa e Regno Unito, selezionati in base alla capitalizzazione di mercato, formando due panieri di titoli equamente ponderati. E il risultato mostra un cambiamento di rotta piuttosto netto.

Al di là della volatilità dunque, tale ricerca mostra che il settore del fashion sta vivendo un momento di ’alternanza’: il predominio del settore lusso sulla grande distribuzione è infatti molto evidente se prendiamo in esame gli ultimi 5 anni, mostrando come la fascia di consumatori ad alto spending sia stata ben poco influenzata dall’inflazione, Viceversa, il passaggio dall’inflazione a un rallentamento economico sembra aver dato il là a una ripresa dei consumi nel fast fashion. Nel periodo preso in esame i grandi brand come Lvmh e Hermès hanno messo a segno performance di tutto rispetto, segnando rispettivamente più 86% e 249%, e trascinando il paniere del lusso a un +75% complessivo. Al contrario, il paniere high street si è fermato a un +13%, nonostante una performance più che dignitosa dell’italiana Ovs (+82%).

Tuttavia, l’allentamento dell’inflazione e delle pressioni sui costi sembra aver dato il via a un cambio di dress code che strizza l’occhio ad alcuni dei più grandi nomi della grande distribuzione. Tra tutti, il rivenditore italiano Ovs (+30% la performance annuale del titolo al 30 agosto). Proprio quest’ultimo, nonostante una crescita del fatturato del 4,7% nell’ultimo trimestre su base annua (a fronte di un incremento del 12,2% l’anno precedente), ha mostrato segnali positivi grazie anche all’aumento della marginalità. Questo risultato è particolarmente incoraggiante in un contesto non facile, aggravato anche dalle difficoltà meteorologiche. Positiva anche l’acquisizione del 3% di Goldenpoint, con la possibilità di salire fino al 51% entro luglio 2025. Ovs, già presente nel segmento intimo e mare, mira a far crescere Goldenpoint investendo in nuove categorie, seguendo l’esempio della cosmetica, un settore che sta riscontrando un ottimo successo.

Non tutti partecipano però alla risalita: marchi come Asos e la francese Smcp sono rimasti indietro, sintomo che il comparto continua a fare i conti con i cambiamenti nelle abitudini di acquisto e nella moda. Ne è testimone la forte volatilità che ha colpito il settore nella prima settimana di settembre, dopo la notizia del calo delle vendite trimestrali di Primark che ha messo pressione anche su competitor come Inditex e H&M. Alcune di queste aziende in difficoltà potrebbero guardare oltreoceano per trarre ispirazione da aziende come Abercrombie, che hanno cambiato le cose tornando alle origini, risparmiando sui costi e comprendendo meglio i propri clienti.

Nel complesso, nell’ultimo anno i primi dieci marchi del fast fashion hanno accumulato una crescita del 13%, ben oltre il +3% dei primi dieci nomi dell’industria del lusso. Ad appesantire è stata la cattiva performance dei titoli di nomi importanti come Kering (-32%), Hugo Boss (-41%) e Burberry (-51%), con il rallentamento della domanda in Cina che si è rivelato un importante freno per gli utili e il sentiment. In questo contesto, le sirene cinesi non ingannano però i brand del Made in Italy che, nello stesso periodo, hanno mantenuto la rotta verso l’alto: Moncler (+6%), Brunello Cucinelli (+7%) e, soprattutto, Prada (+34%). Se alcune maison francesi possono essersi incagliate nella secca cinese, come Lvmh che ha evidenziato un rallentamento dell’1,3% del suo giro d’affari nel primo semestre, il freno cinese non sembra aver attanagliato i conti di Moncler, il cui fatturato è invece salito dell’8%, così com’è aumentata l’incidenza asiatica: dal 48,9% al 49,3% per il brand Moncler, dal 19,3% al 24,7% per il marchio Stone Island.

Vendite in Cina giudicate ’molto positive’ anche per il management di Brunello Cucinelli, che, nonostante le sue elevate valutazioni (più del doppio rispetto a Lvmh, giusto per tracciare un metro di paragone), non ha deluso le aspettative degli investitori. La società ha registrato una crescita a doppia cifra dei ricavi (+14%) su base annua nel primo semestre, grazie anche all’espansione nelle Americhe e in Asia, e mantiene un approccio ottimista per il futuro, prevedendo una crescita del 10% per il 2024 e puntando a raddoppiare i ricavi entro il 2030. Infine, fatturato in crescita anche per Prada, il cui giro d’affari ha registrato un incremento a doppia cifra nel primo semestre, +14,2% e, come per Moncler, la marginalità si è ampliata.

* Italian market analyst di eToro