Mercoledì 17 Luglio 2024

Dal caso Pirelli alla Via della Seta. La Cina non punta più sull’Italia

L'uscita del fondo cinese Silk Road da Pirelli riflette il ridimensionamento della presenza cinese in Italia, guidato dalle politiche europee e americane. Il Golden power esercitato ha limitato l'accesso tecnologico del socio cinese, portando a un cambio di equilibrio azionario a favore degli italiani. Questo segna un cambiamento nei rapporti Italia-Cina, con possibili implicazioni per altre aziende strategiche.

Dal caso Pirelli alla Via della Seta. La Cina non punta più sull’Italia

Dal caso Pirelli alla Via della Seta. La Cina non punta più sull’Italia

L’USCITA DA PIRELLI del fondo del governo cinese Silk Road, è probabilmente l’inevitabile conseguenza del Golden power esercitato dall’esecutivo italiano sul nuovo patto societario della compagnia milanese di un anno fa. Ma è anche l’ultimo tassello di un progressivo ridimensionamento della presenza cinese in Italia, motivato dalle scelte strategiche e politiche del nostro paese che in linea con l’Europa e soprattutto con l’America di Biden ha iniziato a tenere un atteggiamento sospettoso di fronte agli interessi di Pechino nella Penisola.

Il Golden power esercitato su Pirelli prevedeva prescrizioni per limitare il potere e l’accesso a informazioni tecnologiche sensibili al socio cinese (il China National Tire & Rubber Corporation, Cnrc, del gruppo Chem/China Sinochem) che tuttavia era azionista al 37%, intervenendo sul patto parasociale. Il governo prevedeva prescrizioni per tutelare un asset strategico di tipo tecnologico, come i sensori Cyber che sono impiantabili negli pneumatici Pirelli e sono in grado di raccogliere tutti i dati dei viaggi del veicolo compresa la geo-localizzazione, lo stato delle carreggiate e delle infrastrutture. È chiaro che le limitazioni non sono state gradite dal socio cinese, che ha visto ridimensionare anche il proprio potere in Pirelli e quindi anche il ruolo nelle strategie aziendali.

Ma d’altronde l’Italia aveva altre preoccupazioni. Nel caso dei sensori Cyber, ad esempio, le informazioni raccolte sull’auto in movimento vengono trasmesse a sistemi di elaborazione cloud e, grazie all’Intelligenza artificiale, possono essere rielaborati e fornire informazioni utili in preparazione alla costruzione di smart city o altri sistemi digitali legati alle infrastrutture e alla viabilità. Informazioni evidentemente che il governo ritiene vadano tutelate e non possano essere messe a disposizione di una holding cinese. E magari suscitare interessi del governo cinese.

Il resto è storia. Il 29 settembre scorso è cessato per scadenza del termine il contratto parasociale sottoscritto nel 2021 tra la Cnrc e Silk Road Fund. In marzo, quando Pirelli ha comunicato i dati di bilancio del 2023, una nota nel comunicato segnalava che "in seguito all’emanazione del Golden power", il Collegio Sindacale è il management "stavano verificando se Marco Polo International Italy (veicolo di Sinochem-ChemChina) potesse essere ancora considerato in controllo" del gruppo della Bicocca.

In maggio, la svolta. Silk Road Fund ha venduto la sua quota, Camfin (finanziaria di Marco Tronchetti Provera) ha comprato il 2,2% di Pirelli e il blocco dei soci italiani, Brembo inclusa, è salito al 28,78%. In pratica è cambiato nettamente l’equilibrio dei poteri in Pirelli a favore dei soci italiani. Senza il 9% di Silk Road (già fuori dai patti parasociali), il 37% di Sinochem non basta per avere la maggioranza in assemblea.

Il caso Pirelli è un giro di boa dell’atteggiamento italiano verso la Cina in fatto di investimenti in aziende strategiche del nostro paese. E arriva dopo la rottura dell’accordo sulla Via della Seta. I rapporti Italia-Cina sono cambiati, nonostante relazioni intense e dichiarazioni governative che confermano l’interesse economico per il Dragone. Oggi potrebbero tornare a aprirsi interrogativi sulle prossime mosse che potrebbe fare il governo per tutelare le aziende italiane in cui la presenza cinese è significativa. La Cina ha interessi finanziari in Autostrade (dove lo stesso Silk Road Fund possiede il 5%) ma soprattutto in Cdp Reti (controllata da Cassa Depositi e Prestiti) dove la State Grid International Development Limited, a sua volta interamente controllata dalla State Grid Corporation of China, detiene dal 2014 il 35% del capitale. Cdp Reti è un veicolo di investimento e gestisce le partecipazioni in Snam (31,35%), Italgas (partecipata al 25,99%) e in Terna (partecipata al 29,85%). "L’obiettivo di Cdp Reti è sostenere lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, rigassificazione, stoccaggio e distribuzione del gas naturale così come della trasmissione di energia elettrica", si legge nell presnetazione della società. Tutti settori altamente strategici.

I soci cinesi in Cdp Reti sono solo soci finanziari e quindi sottoposti alla direzione di Cdp. Lo scorso novembre il patto in Cdp Reti con i cinesi è stato rinnovato automaticamente e il governo non è intervenuto. In passato però esponenti d Fratelli d’Italia avevano criticato duramente la scelta fatta nel 2014 dal governo Renzi di dare l’ok all’ingresso del capitale cinese.

Il tema di che fare con la presenza di State Grid (che in Cdp Reti ha due consiglieri nel cda) non è mai stato del tutto archiviato. La domanda è chi eventualmente potrebbe sostituire l’impegno cinese nella società, sempre che si rivelasse necessario. Chi insomma potrebbe fare un’offerta e metterci i soldi. Domanda impegnativa. Ma su cui non c’è mai stata una vera urgenza, anche perché la holding cinese ha sempre mantenuto, come si diceva, un profilo da investitore, interessato ai dividendi e non ad altro. E finora dalla partecipazione in Cdp Reti, State Grid ha guadagnato parecchio in termini di dividendi che nel 2023 sono ammontati complessivamente a 553 milioni di euro, in aumento rispetto al 2022 del 6%.