AZIONI NEGLI STATI UNITI, bond in Europa. È il doppio binario su cui si muovono le preferenze di una grande casa di gestione del risparmio internazionale: J.P. Morgan Asset Management, che ha presentato nelle scorse settimane il suo outlook 2025, le previsioni sui mercati finanziari per il prossimo anno. Il punto di partenza dell’analisi di J. P. Morgan AM, illustrata a Milano dalla global market strategist Maria Paola Toschi, è lo scenario che si profila all’orizzonte per l’economia, in particolare negli Stati Uniti dopo le elezioni presidenziali e la vittoria di Donald Trump.
Rispetto al 2016, quando Trump si insediò per la prima volta alla Casa Bianca, oggi la situazione è molto diversa: "l’economia appare più solida ma presenta maggiori squilibri", ha detto Toschi, snocciolando alcuni dati macroeconomici e monetari, tra cui il debito pubblico statunitense in ascesa (ormai al 114% del Pil) e l’inflazione più elevata (2,5% nell’autunno del 2024, contro l’1,5% del 2016).
Proprio l’inflazione potrebbe ricevere nuova linfa con le severe politiche di Trump sull’immigrazione, che rischiano di creare carenza di manodopera e nuove tensioni nel mercato del lavoro. Stesso discorso per i dazi commerciali che il neopresidente vorrebbe introdurre sulle importazioni dall’estero, colpendo le merci in arrivo dall’Europa, dalla Cina ma anche dal Messico. Pure i dazi hanno di solito un effetto di spinta per l’inflazione, rendendo più incerta la politica monetaria della Federal Reserve (Fed), la banca centrale statunitense. Negli ultimi anni la Fed ha alzato con decisione i tassi di interesse per fermare l’inflazione, riportandola sotto il 3%. Fino a qualche mese fa, gran parte degli analisti ritenevano che il costo del denaro Usa avesse ormai imboccato una fase discendente, dopo un lungo ciclo di manovre al rialzo. Se però l’inflazione avesse un nuovo rimbalzo, la Fed sarebbe molto meno decisa nel riabbassare i tassi, contrariamente alla sua omologa sull’altra sponda dell’Atlantico: la Banca Centrale Europea. Nel Vecchio Continente, l’economia viaggia a ritmo ben inferiore rispetto a quella americana, l’inflazione ha avuto un rimbalzo a novembre ma resta a livelli contenuti. Quindi, la Bce sembra molto più decisa nell’abbassare il costo del denaro rispetto alla Federal Reserve, vista anche la necessità di stimolare il Pil.
Proprio per questa ragione, J.P. Morgan AM preferisce i titoli di stato e i bond europei. Di solito, infatti, il calo dei tassi è sempre favorevole alle obbligazioni già emesse sul mercato, che crescono nelle quotazioni perché offrono interessi più allettanti rispetto ai bond di nuova emissione. Chi ha nel portafoglio un bel po’ di titoli a reddito fisso europei, dunque, può guardare con fiducia all’orizzonte. Discorso diverso per il settore azionario dove J.P. Morgan AM guarda con maggior fiducia ai listini d’oltreoceano. "Gli Stati Uniti hanno accumulato un vantaggio di crescita e redditività nell’ultimo decennio rispetto all’Europa", sottolinea Toschi, che vede ancora opportunità nella rivoluzione tecnologica portata in dote dall’avvento dell’intelligenza artificiale (IA).
L’importante è però guardare oltre le cosiddette Magnifiche 7 (Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Nvidia, Tesla e Meta), i giganti hi-tech su cui si è concentrata negli ultimi anni gran parte dei rialzi dell’intero listino. Se l’applicazione dell’IA porterà benefici anche al di fuori del settore tecnologico, con una più estesa crescita degli utili e della produttività, allora è probabile che sul mercato americano si vedranno ancora performance positive, ma ad ampio raggio.