Sabato 25 Gennaio 2025
Raffaele Bonanni
Economia

Da Fiat a Stellantis: Cisl, Uil e Marchionne. Bonanni: “Ecco come salvammo Fca”

L’ex leader sindacale: il manager rivoluzionò il gruppo, ma ci coinvolse. L’azienda al tavolo sull’indotto. E Calenda attacca Schlein: dì qualcosa

Roma, 6 dicembre 2024 – Torna a esplodere il caso Stellantis, a distanza di quindici anni, evidenziando i soliti eccessi della politica italiana, incapace di affrontare in modo organico i problemi industriali. Dopo la fusione tra Fca e i francesi, seguita alla morte di Sergio Marchionne, pochi – tra cui l’ex ministro Carlo Calenda – notarono lo spostamento di progettazione e marketing dagli stabilimenti italiani della vecchia Fiat e la distribuzione di grandi dividendi a scapito di ricerca e sviluppo per nuovi prodotti. Così, i nostri siti produttivi venivano ridotti a semplici luoghi di assemblaggio, smentendo la visione di Marchionne, che immaginava un’azienda unitaria con specializzazioni distribuite tra Stati Uniti, Italia e Francia.

Raffaele Bonanni e Sergio Marchionne (Ansa)
Raffaele Bonanni e Sergio Marchionne (Ansa)

Ma già allora, all’inizio della gestione del manager italo-canadese, il disinteresse generale era evidente, nonostante Fiat fosse sull’orlo del collasso: più cassintegrati che operai attivi, un crollo delle vendite in Italia e in Europa, e una competizione globale sempre più pressante. I grandi produttori si ristrutturavano, puntando su fusioni e innovazioni per ottenere economie di scala e restare competitivi. Marchionne, dopo aver compreso le dinamiche italiane, così diverse da quelle nordamericane, decise di preparare una svolta. La proprietà, consapevole di non poter più contare su aiuti pubblici, si convinse definitivamente a seguire un’altra strada, quando il governo negò ulteriore cassa integrazione, a causa della crisi finanziaria americana, che si ripercuoteva anche sull’economia italiana.

Fu la svolta. Che cominciò, come spesso accadde, da un episodio apparentemente minore: la riorganizzazione dello stabilimento di Pomigliano d’Arco, dove migliaia di lavoratori erano già in cassa integrazione. Partecipai a un incontro con i leader sindacali Camusso (Cgil), Landini (Fiom), Angeletti e Palombella (Uil e Uilm) e Farina (Fim Cisl). La proposta di sospendere temporaneamente anche i lavoratori attivi, con il salario garantito dall’azienda, fu rifiutata da Cgil e Fiom. Marchionne, esasperato, mi chiese una discussione informale, da cui capii la straordinarietà del suo progetto: un piano d’investimenti da 6 miliardi di dollari, interamente finanziato da capitali nordamericani che però sarebbero stati disponibili con garanzie relative all’andamento delle relazioni industriali leali. Fui molto convinto di questa svolta, così come lo fu Angeletti. Così si generò un patto davvero straordinario ed entusiasmante.

Questo piano prevedeva una riorganizzazione del lavoro in linea con gli standard internazionali, con scioperi ammessi solo in caso di violazioni contrattuali o legislative. Fiom si oppose, denunciando presunti rischi per le libertà sindacali e per i salari, ma tali accuse erano infondate: in realtà, ostacolavano la modernizzazione. Anche Confindustria, accusata di tiepidezza, fu coinvolta nello scontro. Mentre interessi finanziari e politici con i loro media si unirono contro. Il governo Berlusconi cautamente mostrava attenzione, ma il Ministro del Lavoro dell’epoca, Maurizio Sacconi, ci sostenne senza sosta.

Nonostante il clima avvelenato, io per la Cisl e Angeletti per la Uil sottoscrivemmo l’accordo con Marchionne per la produzione e occupazione, fondato sui 6 miliardi di investimenti. A quel punto si vinsero i referendum in tutti gli stabilimenti, a partire da Pomigliano. Fu una vittoria innanzitutto dei lavoratori che contribuì a salvaguardare migliaia di posti di lavoro e a rilanciare l’industria automobilistica italiana.

Oggi il punto è l’incertezza della transizione energetica, delle nuove materie prime e componenti necessarie per l’automotive, delle nuove abitudini e nuova mobilità dei consumatori. In questo scenario, servono un fronte sindacale compatto e un piano industriale credibile. Anche il governo deve fare la sua parte, ma non regalando soldi. Dovrà rappresentare a Stellantis la volontà di dare vita ad un piano ambizioso su energia, formazione, infrastrutture e logistica.

Il governo dovrà raggiungere l’efficienza degli altri Paesi industrializzati. Il piano governativo è cruciale quanto quello industriale per rendere attrattiva e competitiva l’Italia. Solo un approccio coordinato tra istituzioni, aziende e sindacati potrà garantire un futuro sostenibile e un rilancio duraturo per l’industria nazionale.