Giovedì 21 Novembre 2024
MADDALENA DE FRANCHIS
Economia

Fallisce la Silicon Valley Bank. Cosa è successo, cosa può succedere ora

La banca è stata chiusa dal governo Usa. C'è un rischio nuova Lehman Brothers ed effetto domino?

È destinato a essere archiviato come il secondo peggior fallimento di una banca nella storia americana dopo quello di Washington Mutual nel 2008. Caduti nel vuoto svariati tentativi di raccolta fondi, Silicon Valley Bank non ha potuto far altro che gettare la spugna.

La sede della Silicon Valley Bank
La sede della Silicon Valley Bank

Le autorità americane hanno dunque chiuso l'istituto e ne hanno assunto il controllo, decretandone, di fatto, il fallimento. Il crac ha colto di sorpresa i mercati finanziari, preoccupati ora per un possibile contagio e spaventati dall'ipotesi che il fallimento possa innescare un nuovo effetto 'Lehman Brothers'. Ma andiamo con ordine e vediamo nel dettaglio i punti principali della vicenda.

Silicon Valley Bank: cos’è

Sedicesima banca americana per dimensione, ha 209 miliardi di attivi e 175,4 miliardi di depositi. Fondata nel 1983 da Bill Biggerstaff e Robert Medaris, ha aperto la prima sede a Santa Clara, in California. Negli ultimi anni si era affermata come punto di riferimento per le startup tecnologiche della Silicon Valley e solo un anno e mezzo fa aveva una valutazione di oltre 44 miliardi di dollari. Nel 2021, infatti, la banca gestiva circa la metà di tutti i fondi impiegati per finanziare le startup: era cresciuta velocemente e aveva attratto numerosi investitori, interessati ad avere una banca specializzata in investimenti nel settore tecnologico. Per lungo tempo gli affari erano andati bene, complici i successi e la rapida crescita delle società tecnologiche. Svb aveva racimolato risorse finanziarie pari a 200 miliardi di dollari: una cifra ragguardevole, ma comunque distante da quelle raccolte dai colossi bancari statunitensi, solitamente nell’ordine delle migliaia di miliardi di dollari.

I presupposti del crac

Svb usava il denaro depositato dai propri clienti per investirlo in obbligazioni (bond): una strategia comune tra le banche, che aveva fruttato bene fino all’impennata dell’inflazione, circa un anno fa. La banca centrale degli Stati Uniti (la Federal reserve) era dunque intervenuta aumentando i tassi d’interesse e riducendo, in questo modo, il valore degli investimenti che Svb aveva già effettuato a tassi più bassi. Si poteva attendere la conclusione naturale degli investimenti già fatti per arginare il problema ma, nel frattempo, è cominciato il declino dell’economia legata alle aziende tecnologiche della Silicon Valley.

Il flusso di nuovi depositi si è progressivamente ridotto, mentre iniziavano a circolare le voci sulla poca affidabilità della banca, al punto che sempre più clienti (soprattutto aziende) hanno scelto di ritirare i propri fondi, anche su consiglio di alcuni fondi di investimento. La situazione è peggiorata l’8 marzo scorso, giorno in cui Svb Financial group, uno dei rami della banca, ha annunciato la vendita di titoli per 21 miliardi di dollari, prevedendo una perdita di circa 2 miliardi di dollari. Un’operazione dai più definita ‘disperata’, con cui ci si augurava di rimettere in sesto i bilanci: ma l’annuncio delle perdite ha spaventato ulteriormente clienti e investitori e determinato una nuova ondata di prelievi da parte dei correntisti. Una vera e propria fuga, insomma. Il governo è infine intervenuto venerdì 10, con la decisione di chiudere la banca per tutelare i proprietari dei conti.

Le reazioni dei mercati finanziari

Le borse europee hanno chiuso tutte in calo, appesantite dal settore finanziario. Piazza Affari ha ceduto l'1,55%, mentre Francoforte e Londra sono arretrate rispettivamente dell'1,31% e dell'1,67%, senza riuscire a trarre beneficio dai dati economici. L'inflazione tedesca è stata confermata a febbraio all'8,7%, mentre il Pil britannico è tornato a crescere, segnando a gennaio un aumento dello 0,3%. Negativa anche Wall Street dove, oltre a Silicon Valley Bank, gli investitori cercano di digerire i dati non esattamente positivi sul mercato del lavoro americano. L'economia ha creato in febbraio 311.000 posti, più delle attese degli analisti. Ma il tasso di disoccupazione è salito al 3,4%. Indicazioni che mantengono la pressione alta sulla Federal reserve, in attesa del dato sulla disoccupazione la prossima settimana e della decisione sui tassi di interesse alla fine di marzo. La Casa Bianca ha reso noto che, assieme al Tesoro, sta seguendo gli sviluppi della vicenda.

Cosa sta accadendo alle banche americane

Per la California si tratta della seconda banca persa in poco tempo: oltre a Svb, infatti, Silvergate Capital Corp ha deciso di chiudere le sue attività e procedere con la liquidazione. Il caso Silicon Valley Bank, secondo gli osservatori, non è una nuova Lehman Brothers, ma mostra gli effetti degli aumenti dei tassi di interesse da parte della Fed sulla liquidità. Con il fallimento, i 175 miliardi di dollari di depositi, inclusi quelli di alcune ‘Big tech’, finiscono sotto il controllo della Federal Deposit Insurance Corp. L'agenzia federale ha già creato una nuova banca, la National Bank of Santa Clara, per i depositi e i gli asset di Svb: il nuovo istituto sarà operativo da lunedì per facilitare i prelievi da parte dei clienti dell'istituto fallito.

Considerata la specificità di Svb – che era fortemente esposta su un unico settore, quello delle aziende tecnologiche della Silicon Valley - le analisi circolate finora non segnalano rischi per il resto del settore bancario statunitense. Il fallimento avrà ripercussioni limitate, ma rappresenta un ulteriore segnale del momento di difficoltà che sta interessando i ‘venture capitalist’, i soggetti che investono su startup e aziende innovative, scommettendo sul loro futuro, spesso con finanziamenti ad alto rischio.

L’effetto domino potrebbe riguardare anche l’Italia?

Secondo gli analisti, non si rischia un 'effetto domino' per due motivi: Svb era comunque una banca di piccole dimensioni e oggi l’intero sistema creditizio è molto più solido e capitalizzato rispetto al 2008, l’anno del crack di Lehman Brothers. I timori, tuttavia, restano: per Milano è stato un ‘venerdì nero’, con perdite pari a -1,55%. Nel finale, però, si è parzialmente recuperato il dato negativo col miglioramento di Wall Street, grazie alla lettura dei dati sull'occupazione Usa. A soffrire sono state soprattutto le banche, a partire da Fineco (-4,58%) e Bper (-4,47%). Pesante Prysmian (-4,28%), all'indomani dei conti che avevano invece premiato Leonardo (+2,85%) e Italgas (+1,65%).