Un inusuale mix fra la tanto temuta stagflazione – termine che indica la contemporaneità di stagnazione (mancata crescita economica) e inflazione (aumento dei prezzi) – , l'innalzamento dei tassi di interesse e un mercato occupazionale più resiliente del previsto (che, come in questo caso, non è per forza una buona notizia). Potremmo riassumere così l'analisi di Hsbc Global Research sul secondo trimestre dell'economia europea, pubblicata assieme a un allarme secondo il quale, se non aumenterà presto la produttività, “la 'recessione occupazionale' nel Vecchio Continente rischierà di tradursi in una politica restrittiva e in una crescita fiacca”.
Proprio perché il ristagno del Pil e la spirale inflattiva dovranno giocoforza convivere un mercato del lavoro ancora saldo, private di una valvola di sfogo. Per i tecnici del colosso finanziario erede dell'istituto bancario fondato a Hong Kong nel lontano 1865, infatti, “sembra che l'Eurozona abbia subito la più lieve delle recessioni tecniche” che “nel Regno Unito la crescita sia sostanzialmente stagnante”.
Ma potrebbe (e potrà) andare anche peggio, perché “l'inasprimento monetario si sta ripercuotendo sull'attività e ci aspettiamo un ritmo di crescita più lento in futuro”. Tutto questo mentre sul piano occupazionale, come accennato, “la solidità del mercato del lavoro europeo ha sfidato la debolezza della crescita del Pil”, dando vita ad una insolita congiuntura che “potrebbe essere descritta come una 'recessione senza lavoro', l'opposto di una 'ripresa senza lavoro'”.
Senza lavoro, chiaramente, nel senso che il mercato del lavoro, rimasto saturo anche durante la decrescita grazie alle politiche governative e comunitarie, non sarà in grado nel breve periodo di assorbire nuova forza. E, quindi, “i mercati del lavoro dell'Eurozona, sfidando la recessione, fanno sì che la crescita dei salari rimanga elevata”, soprattutto nel Regno Unito. Anche perché “finché il mercato del lavoro rimarrà relativamente forte, i lavoratori potranno sentirsi sicuri di chiedere aumenti salariali”.
L'aumento dei salari, però, unito al mancato incremento della produttività costituisce il retroterra perfetto per “un rapido aumento del costo del lavoro”. A un ritmo annuo per unità di prodotto (CLUP) che, nell'area dell'euro, si attesta oggi a poco meno del 6%, mentre “nel Regno Unito ha raggiunto un incredibile 7,5%”.
Fin qui tutto chiaro, con la BCE e la BoE che anche per questo, stando a Hsbc, “dovrebbero continuare ad aumentare i prezzi fino a settembre”. E, per quanto attiene specificamente a Hsbc, “senza alcun taglio fino alla fine del 2024”. Certo, però, l'attuale politica fiscale “potrebbe aiutare le banche centrali nella lotta contro l'inflazione e potenzialmente contribuire a una più ampia condivisione del dolore”.
Anche se, ammettono dalla banca basata a Londra, “per varie ragioni sta tirando nella direzione opposta, il che potrebbe portare a un ulteriore aumento dei tassi di interesse”. In sostanza, la reale panacea di tutti i problemi sarebbe un ritorno della crescita, quella vera. Che, però, “negli ultimi tempi è stata molto carente in Europa”.
Un'inversione di tendenza, del resto, “aiuterebbe le banche centrali a risolvere molti problemi” e, pure, “aiuterebbe i governi a uscire dal buco fiscale senza dover ricorrere all'austerità”. Tenendo presente, infine, che “un miglioramento sostenuto della produttività potrebbe richiedere maggiori investimenti da parte delle imprese tempo, e soprattutto potrebbe richiedere tempo”. Ma l'alternativa, secondo Hsbc, è che l'attuale recessione occupazionale, senza ripresa del Pil, possa “presentare un conto ben più doloroso”.