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Donald Trump
Roma, 13 febbraio 2025 – Quanto e come incideranno i dazi Usa sull’Europa e sull’Italia? Come verrà ridisegnata la mappa del commercio mondiale alla luce delle decisioni americane? Come reagiranno i Paesi colpiti? A a cominciare a fare luce su questi interrogativi è il Centro studi di Confindustria in una Nota su “La nuova politica commerciale degli Stati Uniti: scenari e canali di trasmissione. I settori e i prodotti europei e italiani più a rischio”. Ebbene, secondo gli analisti del Centro Cristina Pensa e Matteo Pignatti, l’America First Trade Policy della seconda amministrazione Trump si annuncia più aggressiva e imprevedibile dell’approccio adottato nel primo mandato e minaccia una escalation protezionistica che potrebbe ridisegnare la geografia degli scambi mondiali.
Lo stato dei dazi di Trump
Allo stato – si premette nel Rapporto – il 1° febbraio 2025 il neopresidente Usa ha annunciato dazi addizionali del 25% sulle importazioni da Canada e Messico, introdotti il 3 febbraio e sospesi l’indomani per un mese, e del 10% su quelle dalla Cina, entrati in vigore con efficacia immediata, e la reintroduzione di tariffe al 25% su tutti gli acquisti all’estero di acciaio e alluminio, che erano sospese per un gruppo di Paesi “amici”, tra cui quelli UE (dal 2021). I Paesi colpiti hanno annunciato contromisure tariffarie sulle merci Usa. La Cina ha prontamente risposto con dazi ad valorem aggiuntivi del 15% alle importazioni dagli USA di alcuni minerali, antracite, carbone, lignite, GNL e del 10% su petrolio e alcuni macchinari agricoli (essiccatori, irroratori, piantatrici, seminatrici, trebbiatrici, etc.) e di trasporto (camion, automobili, minibus, fuoristrada, etc.), che entreranno in vigore a partire dal 10 febbraio. Inoltre: ha aumentato i controlli sull’esportazione di 25 terre rare verso gli USA, avviato un’indagine antitrust su Google e inserito due importanti aziende americane, Illumina Inc. (biotech) e PVH Group (moda) nella lista di aziende non affidabili (che implica restrizioni a import ed export e limitazioni negli investimenti).
Scopi e impatti dei dazi
Obiettivi e strumenti delle politiche Usa – osservano i due economisti – travalicano l’ambito commerciale, per includere temi di sicurezza nazionale e geopolitica: riduzione delle dipendenze dall’estero, difesa dell’industria, rafforzamento della leadership nelle nuove tecnologie. Dazi selettivi per Paese e/o prodotto sono uno strumento per: negoziare obiettivi diversi, come il controllo delle frontiere (escalate to de-escalate); ridurre la forza contrattuale delle controparti (divide et impera); contenere la traiettoria tecnologica della Cina (decoupling).
L’effetto boomerang
I dazi sono una tassa, pagata dagli importatori, che si scarica su famiglie e imprese statunitensi. L’impatto finale – spiegano i ricercatori – è un aumento (una tantum) dei prezzi al consumo. L’entità della trasmissione dipende dalle politiche di prezzo degli esportatori (che possono abbassare i loro prezzi) e dei produttori domestici (i cui margini possono assorbire parte dell’aumento dei costi) e dagli aggiustamenti del cambio (che anticipano i dazi e possono compensarli). I primi dazi di Trump della precedente amministrazione si sono scaricati interamente su prezzi di acquisto (con delle eccezioni, per esempio nell’acciaio), con un impatto finale di minori margini per le imprese e maggiori prezzi per i consumatori. I dazi non incidono significativamente sul deficit commerciale e hanno un impatto negativo sul PIL del paese che li impone: circa -0,2% stimato in seguito ai dazi del Trump I (2018-2019). L’impatto si amplia nel lungo periodo, perché la minore concorrenza internazionale e la sopravvivenza di imprese meno efficienti riducono la crescita economica potenziale. Sotto il profilo del consenso politico, i dazi – spiegano ancora dal Centro Studi – sono percepiti in maniera positiva fra i settori e nei territori maggiormente esposti all’integrazione globale dei mercati, alla competizione internazionale e alla concorrenza di produttori considerati rivali, soprattutto quelli accusati di adottare pratiche commerciali illecite e/o sleali, come la Cina.
L’effetto incertezza
Le variabili connesse alle conseguenze dei dazi alimentano l’incertezza, che frena gli scambi di merci, servizi e capitali produttivi. In base a precedenti analisi del Centro Studi Confindustria, un aumento persistente del 10% dell’incertezza mondiale sulla politica economica è associato a una minore crescita (nel trimestre successivo) di quasi mezzo punto percentuale del commercio mondiale, a seguito sia di un rallentamento dell’attività industriale che di una minore intensità degli scambi.