Giovedì 19 Dicembre 2024
ELENA COMELLI
Economia

Earth Day, ecco perché anche l’economia si deve preoccupare di biodiversità e ambiente

Sono oltre un milione le specie a rischio estinzione a livello globale. Lo sviluppo passa anche dalla loro difesa

La Giornata della Terra si celebra come ogni anno il 22 aprile, proprio mentre in Italia si discute del destino dell'orsa JJ4, che ha ucciso il runner Andrea Papi, e dei morti nella stagione di caccia 2022-23 - cacciatori e non cacciatori uccisi “per errore” - che sono stati 22 (oltre a 57 feriti).

L’uomo è il killer della nostra biodiversità
L’uomo è il killer della nostra biodiversità

Il caso accaduto in Trentino sta mettendo sotto accusa il processo di rinaturalizzazione che è al centro della difesa della biodiversità in tutto il mondo, compresa l'Europa, un continente dove la densità d'insediamenti umani (doppia rispetto all'Africa e tripla rispetto alle Americhe) ha lasciato fin dal Medio Evo pochi margini alla natura selvaggia.

La biodiversità

La biodiversità è essenziale per la vita umana: senza l'aiuto della natura non c'è agricoltura e non c'è economia, per non parlare del benessere psicofisico delle persone. Per fortuna gli sforzi di ripristino degli ecosistemi negli ultimi decenni hanno dato i loro frutti, come si deduce dal Living Planet Report 2022, che quantifica una perdita media di popolazione delle specie selvatiche del 69% dal 1970 al 2018 a livello globale, ma “solo” del 18% in Europa e Asia Centrale, contro il -94% dell'America Latina, il -66% dell'Africa, il -55% dell'Asia Pacifico e il -20% del Nord America.

L’Europa

Malgrado il recente primato, l'Europa non può certamente riposarsi sugli allori, considerando i danni inferti dagli europei alla natura anche fuori dal Vecchio Continente, con il colonialismo nelle Americhe e in Africa, dove le popolazioni indigene vivevano perloppiù entro i limiti imposti dalla natura e sono state spazzate via in pochi anni dagli invasori insieme a intere specie di megafauna.

Specie a rischio estinzione

Ora, con oltre un milione di specie a rischio di estinzione, “non possiamo fermarci un attimo” nella difesa della biodiversità, come ha detto il capo delle Nazioni Unite per l'ambiente, Inger Andersen, in occasione dell'accordo di Montreal, firmato alla fine della Cop15 da quasi 200 nazioni.

Cop15

L'accordo concluso in dicembre è stato festeggiato in tutto il mondo come un passo storico verso l'obiettivo di fermare la perdita di biodiversità, proteggere il 30% del pianeta e ripristinare il 30% degli ecosistemi terrestri e marini degradati entro il 2030.

“Dobbiamo cambiare il rapporto tra le persone e la natura. Abbiamo messo la natura in un angolo ed è ora di allentare la pressione. Sappiamo che la natura è straordinaria e molto indulgente, se le diamo una mezza possibilità, si riprenderà”, è stato il messaggio ottimistico di Andersen.

Sull'onda della Cop15, il rewilding è tornato al centro della scena, con progetti in tutto il mondo, dalla reintroduzione dei bisonti nel Regno Unito al ritorno del giaguaro in Argentina, dalla diffusione dei cavalli selvaggi e delle aquile nei Paesi Bassi al lancio del decimo progetto di Rewilding Europe, con il ritorno della lince sull'altopiano a Est di Madrid. Rewilding Europe, fondata nel 2011 da quattro ambientalisti di lungo corso, è una ong con sede a Nijmegen, nei Paesi Bassi, che lavora per riportare alcuni paesaggi europei allo stato naturale, espandendo la fauna selvatica, in modo da avere un impatto positivo sul clima e incoraggiare la biodiversità.

Gli sforzi del gruppo hanno contribuito ad aumentare la popolazione di specie in pericolo come il bisonte europeo e la lince iberica, ampliando gradualmente il loro impatto su dieci aree geografiche distribuite su 12 Paesi europei, dalle Highlands scozzesi ai Monti Rodopi tra Bulgaria e Grecia, passando per l'Appennino Centrale.

Il super-parco

In Italia, Rewilding Europe sta lavorando con partner locali, sotto la guida di Mario Cipollone, per sviluppare cinque grandi "corridoi di coesistenza" che coprono oltre 100.000 ettari e collegano i parchi nazionali d'Abruzzo, Molise, Lazio e della Majella al Parco Regionale Sirente Velino, tutte aree dove l'orso bruno marsicano è la specie più iconica.

L'obiettivo è sostenere la fauna selvatica all'interno dei corridoi, in modo da aumentarne l'abbondanza nei parchi, riducendo i danni causati dagli animali e consentendo alle comunità locali di trarne beneficio. Le azioni sul campo si concentrano sulla riduzione della mortalità degli orsi, sulla promozione della coesistenza, sul sostegno alle imprese basate sulla natura intorno alle aree dei corridoi e sulla sensibilizzazione delle comunità locali e delle persone che visitano queste aree.

Solo 4% di animali selvatici

Questi sforzi di rinaturalizzazione non potranno riparare i danni incommensurabili inferti nei secoli dagli europei alla natura, ma puntano a stabilizzare un equilibrio, tamponando le perdite di biodiversità là dove possibile, tenendo presente che l'agricoltura è il motore principale della distruzione degli ecosistemi naturali e che, grazie all'allevamento del bestiame da macello, ormai il 96% dei mammiferi sulla terra sono bestiame o esseri umani e solo il 4% sono animali selvatici.

Per limitare i danni, c'è chi trae ispirazione dal passato, con la pratica dell'agricoltura rigenerativa o lo sfruttamento di antichi sistemi di irrigazione. Altri guardano avanti, adottando misure innovative nella conservazione, come la diffusione di tetti verdi per promuovere la ripopolazione degli insetti impollinatori o l'utilizzo dell'intelligenza artificiale per monitorare le balene. In complesso, la storia del rapporto fra l'umanità e il mondo della natura non è buono. Ma forse l'accordo raggiunto alla Cop15 può farci sperare che siamo pronti per iniziare a invertire la rotta e che il 2023 sarà l'anno della svolta per fermare la perdita di biodiversità.