Giovedì 19 Dicembre 2024
REDAZIONE ECONOMIA

Dissalazione: come si ottiene acqua potabile dal mare

Gli impianti che servono a ottenere acqua potabile a partire dall’acqua salata marina potrebbero essere utili per contrastare le conseguenze della siccità, ma presentano possibili rischi ambientali.

Dissalazione: come si ottiene acqua potabile dal mare

L’acqua potabile è forse una delle risorse che nei Paesi sviluppati diamo maggiormente per scontata e invece è sempre più preziosa. Non a caso si parla di “oro blu” e la sua ricerca, anche tramite processi come la dissalazione, si fa sempre più pressante. Le risorse idriche, infatti, continuano a scarseggiare per la crescita esponenziale della popolazione mondiale, ormai sopra agli 8 miliardi, l’inurbamento, l’industrializzazione dei Paesi in via di sviluppo e lo sfrenato consumismo. Il cambiamento climatico e la prolungata siccità costituiscono uno dei problemi principali per il reperimento di acqua potabile e le soluzioni, tra cui la dissalazione, a cui si cerca di ricorrere per far fronte alle emergenze contingenti.

Dissalatore di acqua di mare, come funziona e quanto costa un impianto anti siccità

La dissalazione contro i rischi per la mancanza dell’acqua potabile

Sapevi che circa 500 milioni di individui, nel mondo, consumano il doppio dell’acqua reimmessa spontaneamente in natura tramite vapori e piogge? E che, a oggi, oltre 2 miliardi di persone vivono con il pericolo di non poter usare acqua potabile? Le previsioni per il futuro non sono rosee: secondo le stime, entro il 2050, almeno uno su quattro degli abitanti della Terra si troverà in un Paese caratterizzato dalla carenza cronica o comunque molto frequente di acqua dolce. Uno degli obiettivi fissati nell’“Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” dall’Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite ha inserito è proprio quello di garantire, entro il 2030, anche con metodi come la dissalazione, un accesso universale ed equo ad acqua potabile, sicura ed economica per tutti.

Dissalazione: gli impianti nel mondo e in Italia

Oggi i più importanti consumatori di acqua ottenuta da un procedimento di dissalazione sono gli stati mediorientali. In testa c’è l’Arabia Saudita, che produce circa il 50 per cento della propria acqua potabile a partire dalla dissalazione. Israele possiede cinque impianti specializzati nella dissalazione dell’acqua del Mar Mediterraneo. Non mancano esperienze interessanti anche in arcipelaghi e isole come Bahamas, Maldive e Malta. Investimenti importanti in questo campo sono stati fatti pure in Australia, per esempio a Melbourne, con un impianto che provvede a soddisfare un terzo del fabbisogno idrico della metropoli, e negli Stati Uniti, in particolare in Florida e in California. A livello globale, attualmente vengono prodotti più di 100 milioni di metri cubi di acqua al giorno ottenuta dalla dissalazione. In Italia, il prelievo delle acque marine incide per lo 0,1% del prelievo totale planetario. L’impianto di dissalazione con maggiore capacità operativa dello Stivale si trova a Cagliari, fa parte di una raffineria del gruppo Saras, e produce quotidianamente 12 mila metri cubi di acqua demineralizzata.

Come avviene la dissalazione o desalinizzazione

Per la dissalazione sono usati due sistemi principali. In un primo caso, l’acqua marina viene riscaldata catturandone il vapore, che poi viene condensato nuovamente in acqua dolce attraverso distillazione. La tecnologia più utilizzata è quella denominata “distillazione flash multistadio”: si tratta di un processo termico utile per la dissalazione di elevati volumi di acqua di mare. Cosa succede esattamente? L’acqua bolle a temperature più basse via via che la pressione atmosferica diminuisce. L’acqua di mare viene fatta passare attraverso delle camere, chiamate “stadi”. Ogni stadio contiene uno scambiatore di calore e un raccoglitore di condensa. Dopo che l’acqua di mare preriscaldata entra nel primo stadio, una parte di quell’acqua marina salata bolle rapidamente, formando del vapore che poi, sui tubi di scambio termico, si condensa e produce acqua dolce. Un secondo metodo usato per la dissalazione richiede costi molto più alti in termini di investimenti monetari e sfruttamenti energetici. Stiamo parlando della cosiddetta “osmosi inversa”. In questo processo, a differenza del precedente, l’acqua salata prelevata dal mare, con i sali disciolti al suo interno, viene pompata ad alta pressione attraverso una membrana semipermeabile che blocca le componenti saline, mentre lascia passare le molecole d’acqua. Uno dei più grandi impianti di dissalazione che funziona a osmosi inversa è situato a Sorek, in Israele. È un complesso capace di produrre oltre 627.000 metri cubi di acqua dissalata al giorno.

I pericoli ambientali della dissalazione

Da un lato la dissalazione, o desalinizzazione, appare uno dei rimedi più efficaci per combattere la scarsità d’acqua potabile. Dall’altro, però, sono sempre più note le conseguenze di questa tecnologia che consuma molta energia, per non parlare delle sue ricadute dannose sull’ambiente, soprattutto da parte degli impianti che usano combustibili fossili. In linea di massima, dunque, i sistemi tradizionali della dissalazione contribuiscono in modo massiccio all’aumento delle emissioni a effetto serra in atmosfera, e quindi al riscaldamento globale. Un altro aspetto da considerare è l’impatto degli impianti di dissalazione a osmosi inversa sui delicati equilibri degli ecosistemi marini a fronte del residuo del processo, la cosiddetta “salamoia”. Quando si parla di dissalazione, per “salamoia” si intende un’acqua con un’alta concentrazione di sali, smaltita a poca distanza dalle spiagge e dalle coste (spesso lontano solo a qualche decina di metri dalle rive) dalle rive. Ma è proprio lì che nascono e si sviluppano gli stati vitali iniziali di molti organismi marini. A questo proposito, alcune ricerche sull’impatto della dissalazione e della “salamoia” che deriva dall’osmosi inversa hanno mostrato il tasso notevole di tossicità dei reflui degli impianti di dissalazione e i danni provocati da simili scarichi sull’ecosistema marino. Per dare un ordine di grandezza e far comprendere la portata del problema, si consideri che, secondo i calcoli degli esperti, nella maggior parte dei processi di dissalazione, per ogni litro di acqua potabile prodotta si ottengono circa 1,5 litri di acqua reflua con la presenza di cloro e rame. Nelle zone in cui la concentrazione salina risulta particolarmente alta, inoltre, si è già registrata una progressiva regressione della Posidonia, una pianta fondamentale per il benessere e la stabilità dell’habitat marino.  

Dissalazione: progetti innovativi per tutelare l’ambiente

Sono in fase di studio e di implementazione alcuni progetti realizzati per operare una dissalazione dell’acqua del mare che non vada a intaccare il microambiente circostante. Per esempio un team di ingegneri dell’Università di Torino ha messo a punto un prototipo di impianto low cost per la dissalazione, alimentato con una fonte rinnovabile e sostenibile – funziona ad energia solare – di semplice gestione e accessibile anche ai Paesi in via di sviluppo. Si tratta di un sistema che assorbe l’acqua in modo spontaneo e che, esposto alla luce diretta dei raggi solari, produce automaticamente acqua non salata, garantendo il doppio della resa rispetto ai sistemi simili esistenti. A quanto pare, alcuni investitori della West Coast sarebbero interessati a scommettere su questo nuovo impianto hi tech per provarlo sull’isola di Catalina. C’è poi da aggiungere, pensando alle prime esperienze italiane, ma non solo, che occorre un’adeguata normativa per disciplinare la corretta gestione degli impianti deputati alla desalinizzazione.