Roma, 9 aprile 2024 – La prossima manovra parte con il piombo del Superbonus nelle ali. Il Def aggiornato approvato ieri dal governo è un Documento "sospeso", in attesa degli sviluppi attuativi del nuovo Patto di Stabilità, e, dunque, non è, sul piano programmatico, indicativo. Ma il varo dell’aggiornamento sui conti pubblici, con l’accento rilevante sul peso enorme derivante dal 110%, diventa, nelle parole del Ministro Giancarlo Giorgetti, ma anche del vice-premier Antonio Tajani, l’occasione per fissare almeno due punti fermi. Gli sforzi dell’esecutivo, per realizzare una manovra da almeno 20 miliardi di euro, saranno diretti innanzitutto alla conferma del taglio del cuneo (per circa 10 miliardi), alla conferma della riduzione dell’Irpef e alla possibile sforbiciata delle imposte sopra i 50 mila euro.
Ma partiamo dalle cifre aggiornate. I numeri indicano il peso "disastroso" del Superbonus (a quota 220 miliardi di euro).Un assillo per Giorgetti, che aspetta la decisione di Eurostat su come classificare i crediti come "un giocatore che aspetta la Var" e non esclude nuovi interventi nel decreto all’esame del Parlamento. Le previsioni sono pressoché in linea con la Nadef di fine settembre. Il Pil viene rivisto un po’ al ribasso (+1% quest’anno e +1,2% il prossimo), ma comunque a un livello più alto delle stime di altri istituti che ora viaggiano su una forchetta di +0,6/+0,8%. Il deficit resta quest’anno al 4,3%, per poi passare al 3,7% nel 2025 e al 3% nel 2026. Inverte invece la rotta, rispetto al sentiero di discesa previsto in autunno, il debito: di qui al 2027 resterà sotto il 140%, ma salendo dal 137,8% di quest’anno fino al 139,8% del 2026 (calo rimandato al 2027).
Veniamo, a questo punto, alle indicazioni di politica economica che si possono trarre. Certo, siamo di fronte a una manovra tutta aperta e da scrivere. E da coprire. Tanto è vero che il Def è per l’opposizione e per i sindacati si tratta di una scatola vuota o, come anche lo definiscono, un documento fantasma. È altrettanto vero che per capire quanto e come il tandem Meloni-Giorgetti farà leva sul deficit per la legge di bilancio bisognerà aspettare almeno il dopo elezioni europee, o comunque fino al massimo al 20 settembre quando sarà presentato il Piano fiscale strutturale. L’intervento che, in base alle garanzie arrivate oggi da Giorgetti, sarà confermato nel Piano sarà quello per il taglio del cuneo fiscale.
“Faremo di tutto perché le misure possano diventare stabili, intendo quelle sul cuneo e sulle mamme lavoratrici". La misura simbolo della scorsa manovra costa 10 miliardi e su quell’impegno il governo non è disposto a venire meno. Ma la lista delle altre misure da rifinanziare, se si volesse anche solo replicare quelle di quest’anno è lunga e arriva a 20 miliardi. Al cuneo va aggiunta anche la rimodulazione dell’Irpef: il passaggio da 4 a 3 aliquote vale 4 miliardi. Il viceministro Leo un tesoretto equivalente lo ha messo in cascina con l’eliminazione dell’Ace, ma un ulteriore auspicato intervento a favore dei redditi medi fino a 50mila euro sarebbe tutto da coprire. L’idea è di usare i proventi del concordato, che però vanno ancora conteggiati. Per il credito di imposta a favore delle imprese della Zes unica del Mezzogiorno servono 1,8 miliardi. Bisognerà anche capire il destino di plastic e sugar tax, al momento scongiurate fino a luglio ma che annualmente valgono 650 milioni. Per le spese indifferibili si parla inoltre ogni anno di circa 1,5-2 miliardi. Ma poi ci sono i maxi-capitoli sanità e contratti pubblici. La manovra di quest’anno ha stanziato 8 miliardi per la Pubblica amministrazione ma per il rinnovo del triennio in corso. Dal 2025 in teoria si riparte da zero.