Il debito pubblico ha toccato un nuovo record, pari a 2.587 miliardi a fine ottobre, in aumento di 3,2 miliardi rispetto al mese precedente. I dati diffusi dalla Banca d’Italia confermano un andamento già fotografato dalle ultime stime messe a punto dal governo, che vedono il totale del debito proiettarsi nell’anno in corso verso il tetto del 158% del Pil, mentre nel 2021 si dovrebbe registrare una prima riduzione al 155,8%, nel 2022 al 153,4% e nel 2023 al 148,6%. Nell’anno che si avvia a concludersi si registrerà dunque un incremento di circa 23 punti percentuali rispetto al 2019 (134,6%). È la conseguenza diretta e inevitabile dell’impatto della pandemia sull’economia, che da aprile in poi ha comportato il ricorso a oltre 100 miliardi di maggior deficit, composto dai finanziamenti diretti al sostegno delle attività produttive colpite dai blocchi del lockdown.
Per Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’università Cattolica ed ex commissario per la revisione della spesa pubblica con i governi Letta e Renzi, "si tratta di una cifra ampiamente prevista, date le necessità di spesa per far fronte alla crisi. L’aspetto positivo è che gli investitori esteri sono tornati a investire in Italia, il che si era capito già da un pezzo, grazie ai tassi bassissimi. Adesso i tassi d’interesse sui Btp a 10 anni sono allo 0,55%, il livello più basso dall’unità d’Italia, con il debito al livello più alto".
Una situazione paradossale...
"Dipende dal fatto che la Banca Centrale Europea sta comprando titoli italiani a mani basse. Tutto il deficit pubblico di quest’anno è stato finanziato dalla Bce. Il ritorno degli investitori esteri deriva proprio dalla rete di sicurezza fornita dalla Bce. L’azione della Bce a favore dell’Italia riduce il rischio di comprare titoli italiani, che al momento sono fra i pochissimi titoli di Stato con rendimenti positivi, il che li rende molto appetibili per gli investitori esteri".
Una rete di sicurezza provvidenziale, ma quanto durerà?
"Per tutto il prossimo anno di sicuro. Con l’annuncio che è stato fatto ora da Christine Lagarde, possiamo star tranquilli per un bel po’. L’unico rischio è che a un certo punto l’inflazione cominci ad aumentare e che la Bce sia costretta ad alzare i tassi d’interesse. Al momento è un rischio basso, ma fra due o tre anni, nessuno sa quale sarà la situazione".
Prima o poi, però, questi soldi dovremo restituirli. Un debito così alto richia di pesare sul futuro delle nuove generazioni.
"Si, lo capisco, ma adesso come adesso non ci sono alternative. Occorre uscire dalla crisi e adesso lo Stato non può far altro che sostenere l’economia aumentando il debito. Non c’è altra scelta. Per fortuna possiamo farlo con i finanziamenti della Bce e con quelli del Recovery Fund".
Che cosa ci vuole per riprendere in mano la situazione del debito?
"Ci vuole la crescita, l’ha appena detto anche Draghi. Dobbiamo fare le riforme e spendere bene i soldi del Recovery Fund per finanziare la crescita. Se torniamo alla crescita, il debito diventa facilmente sostenibile".
Quali riforme?
"L’elenco è sempre lo stesso: investimenti verdi, investimenti nelle infrastrutture, riforma della giustizia, riduzione della burocrazia che è un freno enorme agli investimenti privati, investimenti nella pubblica istruzione, negli asili nido per mettere a lavorare le donne e nelle università per alzare il livello d’istruzione degli italiani, che è troppo basso".
Il Recovery Plan va nella direzione giusta?
"Sì, nel Recovery Plan ci sono molte cose buone, ma è un libro dei sogni troppo vago per essere tradotto in pratica. Ci vorrebbe più enfasi sulla riforma della giustizia, sulla riduzione della burocrazia e sull’efficientamento della pubblica amministrazione, anche con incentivi, in maniera tale che chi si comporta bene venga premiato. Bisogna scendere più sul concreto, fare progetti più precisi, altrimenti non riusciremo a realizzarli".