Roma, 12 febbraio 2025 – “Non prevedo drammi, l’effetto delle decisioni di Trump sull’economia europea sarà contenuto – spiega Marco Simoni, docente di Politica Economica alla Luiss –. Dal mio punto di vista, i dazi sono fumo negli occhi, si tratta di una mossa soprattutto politica. Il presidente americano si è impegnato a farla durante la campagna elettorale e ora mantiene la promessa. Ma, dal punto di vista economico, mi sembra che voglia utilizzarla soprattutto come una merce di scambio”.
Cioè?

“Vuole sedersi ad un tavolo negoziale e ottenere altro. Come ha fatto per il Messico e il Canada”.
Farà lo stesso anche con l’Ue?
“Vedremo. Ma l’Unione Europea commetterebbe un grave errore se barattasse la cancellazione dei nuovi dazi con qualche trattamento di favore per le grandi aziende americane che operano qui da noi. E mi riferisco, in particolare, a quelle che gestiscono informazioni digitali e banche dati. L’Europa, invece, farebbe bene a restare fedele ai suoi principi e continuare a percorrere la strada di un mercato aperto e multipolare”.
Insomma, non dovrebbe rispondere ai dazi con i controdazi, come hanno fatto cinesi e canadesi?
“No, altrimenti rischia di alimentare una guerra commerciale che va contro i suoi principi e, soprattutto, danneggerebbe tutti. Ci sono armi ben più potenti a disposizione di Bruxelles per rispondere a Trump. Basti pensare all’Antitrust. Insomma, l’Europa deve andare avanti per la sua strada senza lasciarsi influenzare da quello che avviene dall’altra parte dell’oceano”.
Deve prima fare i compiti a casa?
“Certo. Pensando, ad esempio, a come ridurre i costi dell’energia accelerando sulle rinnovabili e sul nucleare di nuova generazione. O, ancora, investendo sulle nuove tecnologie, sull’intelligenza artificiale, sugli sviluppi dell’economia digitale”.
Però nell’immediato i dazi di Trump avranno un costo. Fra il 2018 e il 2024, all’epoca del Trump 1, l’export italiano passò dal 2018 al 2024 da 600mila a 200mila tonnellate.
“Vero, ma si tratta di numeri che si possono recuperare anche puntando ad altre geografie. In più, l’Italia, ha una posizione di vantaggio perché esporta acciai speciali. Complessivamente, il valore delle esportazioni italiane di acciaio in Usa è di 2,7 miliardi. Con dazi al 25% le quantità certo diminuiranno. Ma ci sarà anche un aumento globale del prezzo medio. A tutto danno dell’acciaio cinese che potrebbe diventare meno competitivo. Per questo è importante che l’Europa si sbrighi ad aprire canali commerciali altrove”.
Ma, sempre per restare nel breve periodo, non crede che questa politica possa ulteriormente frenare l’economia europea?
“Parliamoci chiaro non è un contesto positivo: il primo paese esportatore è la Germania, che già attraversa un periodo difficile ed è uno dei driver più importanti dell’Europa. Inoltre c’è un effetto indiretto sulla crescita per l’incertezza rispetto alle decisioni che saranno effettivamente prese. Ma, proprio per questo, l’Ue deve muoversi e accelerare. Da questo punto di vista i dazi possono essere uno straordinario collante. Tutti i Paesi sono sulla stessa barca”.
Però qualcuno continua ad avere la tentazione di voler fare da solo, magari trattando accordi bilaterali.
“Sarebbe un errore clamoroso. Per rubare una metafora non mia, è come un bel polletto grassottello che decide di avventurarsi in una giungla. Prima o poi arriva un predatore e lo mangia. Per nessun Paese europeo ha senso correre questo rischio”.