Roma, 25 maggio 2024 – Sei anni fa, quando Donald Trump annunciò per la prima volta i dazi sui beni cinesi, la notizia esplose come una bomba. I mercati azionari americani crollarono nella prospettiva di una guerra commerciale, le aziende americane persero competitività e i forti rincari causarono un balzo dell'inflazione per i consumatori finali. Ora Washington ha compiuto un nuovo passo avanti sulla strada del protezionismo, ma l’annuncio di Joe Biden sulle nuove misure è stato accolto con filosofia, anche se impone tariffe significativamente più alte. Il 14 maggio la Casa Bianca ha deciso di aumentare i dazi su semiconduttori e celle solari cinesi dal 25% al 50%, siringhe e aghi dallo 0% al 50% e batterie agli ioni di litio dal 7,5% al 25%.
Sui veicoli elettrici cinesi l’aliquota viene addirittura quadruplicata, passando dal 25% al 100%. Lael Brainard, del Consiglio economico nazionale, ha affermato che le nuove misure mirano a creare "condizioni di parità nelle industrie che sono vitali per il nostro futuro”. Eppure saranno i consumatori americani a pagarne il prezzo. Rispetto ai dazi imposti da Trump sulla Cina, i nuovi prelievi sono più mirati e più drammatici. Col tempo le tariffe di Trump si sono estese fino a coprire oltre 350 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina, mediamente a un tasso del 25%. Le tariffe di Biden coprono circa 18 miliardi di dollari di importazioni, ma a tassi proibitivi. L’impatto non è quindi sui flussi commerciali attuali, ma su quelli potenziali in futuro. Ad esempio in Europa, dove pagano una tariffa più modesta del 10%, le auto prodotte in Cina (anche dai marchi occidentali) hanno occupato quasi un quarto del mercato dell'auto elettrica. In America, al contrario, ci sono pochissimi veicoli elettrici di fabbricazione cinese sulle strade. Grazie alle nuove tariffe altissime, le cose rimarranno certamente così. Con queste misure, un caso come quello di Stellantis, che si è alleata con la cinese Leapmotor per importare in Europa le auto elettriche del gruppo di Hangzhou già a partire da settembre, non sarebbe possibile. Le nuove tariffe di Biden sanno molto di una mossa elettorale in vista delle presidenziali americane, visto che arrivano poche settimane dopo l'impegno di Donald Trump a imporre tariffe del 60% su tutti i prodotti cinesi. Ma l'obiettivo di Biden, oltre alle più banali motivazioni elettorali, è di proteggere le industrie nascenti piuttosto che quelle già affermate. Questo lo distingue nettamente da Trump, che invece è amico dell'industria del petrolio e del carbone. Con l'Inflation Reduction Act, il governo americano sta spendendo centinaia di miliardi di dollari per sviluppare la produzione nazionale di veicoli elettrici, semiconduttori, batterie e tutte le altre tecnologie essenziali per la transizione ecologica. Questo ha provocato un boom nella costruzione di fabbriche, anche nella Rust Belt americana, ma ci vorranno ancora alcuni anni prima che le linee di produzione entrino davvero in funzione.
L’obiettivo dei nuovi dazi è guadagnare tempo, per costruire un intero settore in grado di competere con le industrie cinesi. Vero è che la Cina ha ottenuto gran parte del suo vantaggio competitivo attraverso un'ingiusta combinazione di protezionismo e sussidi, per non parlare dello spionaggio industriale. Considerato questo contesto, il modo tradizionale per prevenire un’ondata di importazioni cinesi sarebbe applicare dazi compensativi. E' quello che stanno facendo gli europei. E non è detto che sia finita qui. La Commissione europea sta conducendo un’indagine antisovvenzioni che potrebbe anche portare a un aumento dei dazi sui veicoli elettrici cinesi. La segretaria del Tesoro Janet Yellen, nella sua visita a Francoforte di martedì 21 maggio, ha invitato l'Europa a unirsi alle misure americane per fermare l'avanzata dell'industria cinese e ha sollecitato il ministro tedesco delle Finanze Christina Lindner, che sedeva tra il pubblico, a spingere in questa direzione. In risposta all’annuncio di Biden sugli aumenti tariffari statunitensi, però, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sostenuto, a ragione, che i marchi occidentali sono responsabili di “almeno il 50% delle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina”. Il primo ministro svedese Ulf Kristersson ha affermato che è “una cattiva idea iniziare a smantellare il commercio globale”. E la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha già detto che non si unirà agli Stati Uniti nell’imporre nuovi dazi, aggiungendo che Bruxelles adotterà un approccio diverso nei confronti delle “tariffe a pioggia” di Washington. “Vogliamo la concorrenza, vogliamo commerciare insieme, ma vogliamo che i cinesi rispettino le regole”, ha detto von der Leyen al Financial Times prima dell'appello di Yellen.