Roma, 5 marzo 2025 – L’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato perentorio: dal 2 aprile scatteranno i dazi del 25% sui prodotti agricoli. Come ha rimarcato lo stesso Trump sul suo social Truth, “i grandi agricoltori americani dovranno prepararsi a un aumento della domanda interna dei loro prodotti, per i quali non scatterà alcuna nuova tassa”.
Sebbene non siano noti ulteriori dettagli sui settori che saranno colpiti, o se ci saranno eccezioni, la possibilità di un aumento imminente delle tariffe sulle esportazioni di alcuni prodotti europei (quindi, anche italiani) fa temere conseguenze pesanti sui fatturati di imprese operanti in vari settori strategici per l’economia nazionale. Bastano alcuni numeri per capire quanto sia alta la posta in gioco: solo nel 2024, ad esempio, l’export agroalimentare del nostro Paese negli Usa ha toccato quota 7,8 miliardi di euro. Stando alle prime stime diffuse da Confcooperative, la scure dei dazi rischia di costare, all’intero settore, una perdita di fatturato di circa 2 miliardi.

L’impatto sulle filiere agrifood
Il costo dei dazi sulle singole filiere, calcolato da Coldiretti, sarebbe di quasi 500 milioni per il vino, 240 milioni per l’olio d’oliva, 170 milioni per la pasta, 120 milioni per i formaggi. Secondo il presidente Ettore Prandini, i dazi finirebbero così per favorire ulteriormente il fenomeno dell’italian sounding, le imitazioni dei prodotti made in Italy che già arrecano un grave danno alle imprese italiane. Anche il numero uno di Confagricoltura, Massimo Giansanti, ha parlato di “danno devastante”, poiché gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di riferimento per il nostro Paese.
Usa primo mercato di vini e liquori italiani
Scendendo ancor più nel dettaglio, gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione per vini, liquori e distillati italiani. L’export dei vini italiani nel 2024 ha raggiunto i 2 miliardi di euro (+6,6% rispetto all’anno precedente), quello degli ‘spirits’ (i distillati) i 250 milioni (+5%). I best seller sono i vini fermi e frizzanti, seguiti dagli spumanti. Micaela Pallini, presidente di Federvini, ha ricordato che, tra il 2019 e il 2020, anno di applicazione dei dazi americani al 25% (durante la prima presidenza Trump), la perdita per il mercato dei liquori italiani si aggirò intorno al 40%.
Trema il distretto dei formaggi
Tra i distretti alimentari più impattati ci sarebbe quello dei formaggi: per il Parmigiano Reggiano, ad esempio, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di destinazione. Non va meglio per il suo parente più stretto, il Grana Padano: per Stefano Berni, direttore generale del Consorzio di tutela del Grana Padano, le minacce di questi giorni di Trump sono un déjà vu assai spiacevole. “I dazi introdotti nell’ottobre del 2019 per 15 mesi su alcuni prodotti, tra cui il Grana Padano, determinarono un calo delle vendite per noi sul mercato americano di circa il 20%, cui si sono aggiunti effetti collaterali come la svalutazione delle forme di Grana che hanno appesantito i nostri magazzini – ricorda –. Le perdite si aggirerebbero sui 100 milioni all’anno che, per quattro anni di mandato di Trump, significherebbero 400 milioni in meno complessivi. Per il made in Italy agroalimentare in generale, tra food e beverage, si prospettano danni nell’ordine di qualche miliardo di euro”. Per la mozzarella di bufala campana, che nel 2019 venne esclusa dai dazi della prima amministrazione Trump, il mercato statunitense vale circa 10-15 milioni di euro, ovvero tra il 4% e il 7% sulla quota totale di export. I dazi penalizzerebbero, in particolare, le vendite nel settore horeca (ristorazione e consumi fuori casa), dove il prodotto è percepito come un articolo “premium” e vanta un prezzo che può sfiorare anche gli 80 dollari al chilo.