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Crisi climatica - Crediti iStock Photo
Roma, 19 febbraio 2025 – Nell’epoca moderna provare a distinguere la crescita e lo sviluppo economico di un Paese senza considerare l’impatto che lo stesso può avere sulla lotta al cambiamento climatico è un’attività quanto mai difficile. Più nello specifico, se i Paesi in via di sviluppo non alleggeriscono il peso del loro debito, non potranno investire nella resilienza climatica e nella tutela ambientale.
Un recente rapporto del Gruppo di esperti indipendenti su debito, natura e clima evidenzia come molte delle 144 economie in via di sviluppo si trovino in una situazione fiscale insostenibile. In media, questi Paesi destinano il 41,5% delle entrate statali – pari all’8,4% del PIL – al pagamento del debito, limitando drasticamente le risorse disponibili per istruzione, sanità, infrastrutture e innovazione, settori fondamentali per la crescita economica.
Senza crescita e margini di manovra fiscale, il rimborso del debito sovrano diventa insostenibile. Di conseguenza, è urgente garantire a queste economie un accesso a finanziamenti sostenibili e, in alcuni casi, prevedere una riduzione del debito da parte dei creditori internazionali e nazionali.
Il peso del cambiamento climatico
La crisi del debito nei Paesi in via di sviluppo è aggravata da due fattori interconnessi. Il primo è il cambiamento climatico: le temperature globali sono già aumentate di 1,2°C e si prevede che crescano di ulteriori 0,2-0,3°C per decennio. Questo "debito climatico" ha conseguenze devastanti, con danni nei Paesi vulnerabili stimati intorno al 20% del PIL, rallentando il loro sviluppo economico.
Eventi climatici estremi stanno colpendo il mondo con crescente intensità: inondazioni record hanno devastato la Spagna, il Nepal e parti dell’Africa occidentale, mentre incendi senza precedenti hanno consumato vaste aree in Canada, Brasile e Bolivia. Allo stesso tempo, uragani come Helene e Milton hanno colpito i Caraibi, l’America centrale e gli Stati Uniti sud orientali, mentre in Ciad le piogge torrenziali hanno causato inondazioni che hanno colpito 1,9 milioni di persone.
La crisi della natura
Meno evidente, ma altrettanto critica, è la crisi della natura. Gli ecosistemi naturali sono un elemento chiave nella lotta al cambiamento climatico, assorbendo metà della CO2 prodotta dall’uomo. Tuttavia, la deforestazione e la conversione del suolo stanno indebolendo questa difesa naturale: molte foreste, tra cui l’Amazzonia, ora emettono più anidride carbonica di quanta ne riescano ad assorbire, aggravando la crisi climatica invece di contrastarla.
Gli ecosistemi naturali sono anche fondamentali per la disponibilità di acqua: producono metà delle precipitazioni essenziali per l’agricoltura e la sopravvivenza umana, mentre l’altra metà proviene dagli oceani. Ma la deforestazione in Amazzonia e Queensland sta già mettendo a rischio l’agricoltura in regioni come il Cerrado e l’Australia orientale. La situazione in Africa è altrettanto allarmante: la Nigeria, che registra il più alto tasso di deforestazione al mondo, ha perso oltre la metà delle sue foreste residue negli ultimi cinque anni a causa del disboscamento, dell’agricoltura di sussistenza e della raccolta di legna da ardere.
Affrontare questa triplice crisi – fiscale, climatica e ambientale – è cruciale per garantire un futuro sostenibile alle economie in via di sviluppo e all'intero pianeta.