In Italia si parla molto spesso di cuneo fiscale, indicato da più parti come il principale motivo dell’elevato costo dei lavoratori per un’azienda. Ridurre il cuneo fiscale, dunque, permetterebbe alle realtà economiche di pagare meno tasse sui lavoratori e contribuirebbe ad agevolare le assunzioni, con la conseguente riduzione del lavoro in nero e della disoccupazione. Per abbassare l’ammontare totale delle imposte, dirette e indirette, che impattano sul costo del lavoro sono necessari degli interventi di natura governativa che, attraverso specifiche manovre, possano agevolare le imprese ad assumere. Negli ultimi anni qualcosa si è fatto in Italia in tal senso, come nella Legge di Bilancio 2020 o in quella del 2022, ma ancora molta strada è da compiere.
Cuneo fiscale, cos’è
Quando si parla di cuneo fiscale si fa specifico riferimento alla somma di tutte le imposte, siano queste dirette, indirette o contributi previdenziali, che hanno un impatto sul costo del lavoro. Il cuneo fiscale, inoltre, influisce sia sui datori di lavoro, che per avere dei dipendenti dovranno sostenere molte spese aggiuntive allo stipendio, sia sui dipendenti, gli autonomi o liberi professionisti, che vedono ridursi la somma percepita per un lavoro proprio a causa delle imposte. Volendo sintetizzare, è possibile dire che il cuneo fiscale è pari alla differenza che intercorre tra lo stipendio lordo di un lavoratore e la somma della busta paga netta che viene percepita dallo stesso. Si tratta dunque di un parametro molto importante per il mondo del lavoro, in quanto tenendolo in considerazione è possibile quantificare gli effetti che avrà la tassazione del costo del lavoro sui redditi dei lavoratori e, più in generale, sul mondo del lavoro.
Il cuneo fiscale in Italia
In Italia il costo del lavoro è molto alto, con il livello del cuneo fiscale che la colloca al 5° posto della tassazione sul lavoro nella classifica relativa ai Paesi Ocse. Il cuneo fiscale in Italia è al 45,9 per cento per i lavoratori single senza figli, dietro Austria (46,8 per cento), Francia (47,0 per cento), Germania (47,8 per cento) e Belgio (53 per cento). I dati attuali sono leggermente migliori rispetto a quelli del 2019 quando, secondo il rapporto Taxing Wages, il cuneo fiscale in Italia era pari al 47,9 per cento per un lavoratore senza figli. Interessante era notare la ripartizione di questa percentuale: - il 16,7 per cento riguardava le imposte personali sul reddito; - il 31,2 per cento era rivolto ai contributi previdenziali divisi a loro volta in un 7,2 per cento a carico del lavoratore e un 24 per cento dovuti dal datore di lavoro.
Il taglio del cuneo fiscale
Per abbassare il cuneo fiscale, come detto, servono interventi da parte del governo. Nel 2022, per iniziativa dell’esecutivo Draghi, si è optato per una riduzione della tassazione sul lavoro che, nel corso del 2023, è arrivata fino al 6 per cento per redditi fino a 35mila euro e al 7 per cento per redditi fino a 25mila euro. La misura è stata confermata anche nel 2024 con le stesse aliquote, anche se è stato precisato che quello in corso sarà l’ultimo anno dell’intervento e che ci sarà una riduzione del risparmio in busta paga principalmente dovuta all'esclusione della tredicesima mensilità.