Roma, 17 maggio 2020 - I ministri del Lavoro e dello Sviluppo economico, come anche i vertici dell’Inail, alla vigilia della fine del lockdown e della ripresa massiccia delle attività produttive, tentano di rassicurare i datori di lavoro sui rischi di responsabilità penali e civili in caso di contagio dei dipendenti. La tesi è che non c’è nessuna responsabilità dell’impresa se attua i protocolli di sicurezza anti-Covid e che il datore di lavoro risponderà delle infezioni solo se viene accertato il dolo o la colpa. Ma da più parti si sottolinea come le "precisazioni" non mettano al riparo da rischi di controversie giudiziarie. E, ancora prima, da possibili sequestri di stabilimenti e luoghi di lavoro in caso di contagio.
Tant’è che, non a caso, Emmanuele Massagli, presidente di Adapt (il centro studi fondato da Marco Biagi) osserva senza mezze misure: "Sarebbe allora ragionevole prevedere esplicitamente la garanzia di non perseguibililità per i datori di lavoro che adottino con precisione tutte le misure prescritte dalla legge e dai protocolli tecnici per la protezione dei propri dipendenti dal contagio. Non possono scaricarsi sul datore di lavoro rischi oggi ancora scientificamente poco conosciuti, determinando un ulteriore irrigidimento delle attività di impresa, delle quali mai come ora l’Italia ha bisogno per riprendersi il prima possibile dalla crisi economica".
Insomma, il rischio paralisi o non apertura delle attività economiche per il timore dei datori di lavoro di essere chiamati in giudizio c’è tutto. La crescente preoccupazione delle imprese, d’altra parte, nasce dalla norma del decreto Cura Italia che prevede che, in caso di accertata infezione da Covid-19 sul lavoro, l’Inail assicura al lavoratore la tutela prevista dalla legge in caso di infortunio sul lavoro. Con tutte le conseguenze civili e penali per il datore di lavoro.
Ma il ministro Nunzia Catalfo (con i vertici dell’Inail) ha spiegato che dal riconoscimento di infortunio nei casi di infezione da Covid-19 in occasione di lavoro non discende automaticamente la responsabilità civile e penale del datore di lavoro. Responsabilità che, invece, si ha solo in caso di dolo e di colpa e, dunque, se il datore di lavoro, per esempio, non abbia rispettato i protocolli di sicurezza. Un principio, che, secondo quello che fanno sapere dal ministero del Lavoro, non richiede "alcuna norma di legge, basta un chiarimento in circolare, e si andrà in questa direzione".
La soluzione proposta, però, non sembra proteggere più di tanto il datore di lavoro "virtuoso" perché, come osservano dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, potrà comunque essere indagato e dovrà sottoporsi a tutta la trafila giudiziaria, con la possibilità ulteriore che lo stesso luogo di lavoro possa essere sequestrato (e chissà per quanto tempo) per i relativi accertamenti. Servirebbe, invece, una norma netta che, come nota lo stesso direttore generale dell’Inail, Giuseppe Lucibello, "stabilisca la regola per cui l’applicazione da parte del datore di lavoro" dei protocolli anti-Coronavirus "costituisce a tutti gli effetti pieno assolvimento degli obblighi".