Domenica 24 Novembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Economia

Cop29, accordo sul clima a Baku . Trecento miliardi per i Paesi poveri

Via libera agli aiuti dopo una notte di trattative. Istituito il mercato internazionale delle emissioni di carbonio .

Cop29, accordo sul clima a Baku . Trecento miliardi per i Paesi poveri

Gilberto Pichetto Fratin, 70 anni, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica

dall’inviato

A un passo dal fallimento, la svolta. Sono le 2 e 38 di notte quando il prsidente della conferenza Mukhtar Babayev batte il colpo atteso: COP29 è salva. La plenaria erompe in un lungo applauso anche se l’India fa un durissimo intervento motodologico. Ma ormai è andata. I paesi meno sviluppati (LDC) e le piccole isole (AOSIS), che nel pomeriggio avevano issato la bandiera del malcontento lasciando polemicamente una delle riunioni e facendo temere il peggio, han fatto due conti e hanno deciso che era meglio restare e farsi piacere il testo sulla finanza. Che rispetto all’ultima bozza è invariato nei numeri chiave: reperire almeno 1.3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035 di finaziamenti per l’azione climatica dei i paesi in via di sviluppo, e soprattuto decide di stabilire l’obiettivo di reperire a questo fine 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, con i paesi sviluppati a fare da guida.

L’accordo introduce anche una serie di modifiche tecniche le più importanti della quali sono forse la roadmap “da Baku a Belem“ per aumentare la finanza climatica e un significativo aumento, almeno 3 volte, delle risorse per i fondi di adattamento. I paesi in ia di sviluppo ricchi (petrostati del Golfo, Singapore), o in grande crescita (Cina) sono semplicemente incoraggiati a dare contributi volontari. Tanto è bastato."Nel begoziato condotto dall’unione europea – commenta il ministro dell’Ambiente Gilberto pichetto Fratin – l’Italia ha portato la sua strategia per una finanza climatica più efficace che rifletta i nuovi equilibri globali. Abiamo allargato la platea di attori che partecipano al processo e soprattutto il modo in cui vi partecipano. E’ un risultato importante".

Arrivarci non è stata una passeggiata. Nella plenaria serale si sono ratificati gli accordi sui quali c’era consenso, tra i quali le norme per il mercato internazionale delle emissioni di carbonio (uno dei temi chiave, atteso da 9 anni) e rinviato alcuni temi tecnici alla prossima riunione a Bonn, a giugno 2025. Dopodiché la presidenza azera ha deciso di sospenderne i lavori per riprendere le consultazioni sulla finanza climatica. COP 29 aveva come elemento centrale la discussione di nuove regole per la finanza climatica, con la messa a disposizione dei paesi in via di sviluppo di risorse ingenti che devono compensarli per un inquinamento storicamente causato dai paesi del nord del mondo. Ma il punto era ed è: chi paga? I paesi sviluppati sono disposti a fare la loro parte, seppure con limiti quantitativi e diversa sensibilità. I paesi sviluppati chiedevano in cambio che anche paesi formalmente “in via di sviluppo“ ma ormai facoltosi come i “petrostati“ del Golfo e la Cina aprissero i cordoni della borsa. Ma Cina e sceicchi sono disposti solo a finanziamenti volontari. Così la presidenza azera – autrice di molti errori nella gestione del negoziato e sospettata di far il gioco dei produttori di petrolio come lei – ha preparato due bozze sulla finanza molto deludenti, che invitavano a “mobilitare“ 1.3 trilioni di dollari e soprattutto decidevano che i paesi sviluppati avrebbero investito 250 miliardi di euro all’anno entro il 2035.

Così ieri pomeriggio, alla terza bozza, che pure alzava l’impegno da parte dei Paesi sviluppati da 250 a 300 miliardi, la maionese è impazzita perché i paesi in via di sviluppo, che volevano molto di più, han perso la pazienza. A nome del gruppo G77 che raccoglie 134 paesi in via di sviluppo, l’Uganda ha chiesto di aumentare il finanziamento "ad almeno 500 milioni", e poi, mentre parlava il delegato dell’Arabia Saudita – paese impegnato pancia a terra nella difesa delle fonti fossili e nel rinvio del loro superamento – le delegazioni dei paesi insulari (Aosis) e dei 45 paesi meno sviluppati (LDC) hanno deciso di uscire dalla riunione in segno di protesta. Un gesto forte ma – attenzione – non (ancora) una rottura totale. "Siamo temporaneamente usciti – ha detto Jiwoh Emmanuel Abdulahi, ministro dell’Ambiente della Sierra Leone, che presiede gli LDC – ma rimaniamo nei negoziati finché non otterremo un accordo equo". Il tempo ha portato consiglio. Adesso ci sarà modo di lavorare agli impegni nazionali volontari di mitigazione, che dovranne essere presnetati entro febbraio per arrvare alla COP 30 con un pacchetto credibile per tagliare le emissioni. Che è poi quello che davvero serve e che in 29 anni le COP non sono riuscite a fare.