Il Consiglio di Stato ha stabilito, con sentenza, che la proroga delle concessioni demaniali per gli stabilimenti balneari che lavorano sulle spiagge italiane dal 31 dicembre 2023 alla fine del 2024 non è da considerarsi valida. Per i giudici, dunque, la decisione adottata dal governo guidato da Giorgia Meloni non rispetta quanto stabilito dalla legge e, dunque, è necessario provvedere in maniera immediata a nuovi bandi di concessione. Nel nuovo fibrillante contesto venutosi a creare è doveroso chiedersi cosa accadrà agli stabilimenti italiani sui quali, da anni, c’è una grande discussione innescata dalla direttiva Bolkestein del 2006.
Le concessioni delle spiagge in Italia
In Italia la concessione delle spiagge ha subito negli anni delle storture diventate sistematiche, secondo le quali un bene del demanio, cioè le spiagge (art. 822 del Codice civile), dopo essere stato dato in concessione ai titolari degli stabilimenti balneari è finito per diventare di proprietà (fittizia sia chiaro) degli stessi titolari del lido. Questi, infatti, dopo aver ottenuto la concessione diversi anni fa, la passano alle loro seconde generazioni, ai figli, diventando di fatto proprietari impropri di un bene pubblico dello Stato.
Malgrado i continui avvisi dell’Unione europea all’Italia di conformarsi a quanto previsto dalla direttiva Bolkestein, i governi che di volta in volta si sono insediati a Palazzo Chigi hanno sempre rimandato la decisione sulle concessioni balneari. Di recente, come già detto, l’esecutivo di Giorgia Meloni ha fatto slittare la scadenza delle concessioni balneari in Italia dal 31 dicembre 2023 alla fine del 2024, ma la decisione non ha ottenuto il parere positivo del Consiglio di Stato che l’ha ritenuta non valida e ha chiesto nuove gare per l’assegnazione delle spiagge.
Cosa succede ora alle concessioni delle spiagge
Lo scenario descritto crea un clima fortemente instabile nelle spiagge italiane, con gli sviluppi che potrebbero costare cari soprattutto ai bagnanti dell’estate 2024. Un primo risvolto possibile, infatti, è che l’eventuale rincaro del prezzo delle concessioni balneari possa portare a un aumento del costo per ombrelloni, sdraio, lettini e servizi per i clienti. I rialzi, in realtà, ci sono già stati e rappresentano una conferma anche rispetto agli anni scorsi quando, così come sta avvenendo nel 2024, la possibilità per i gestori di vedersi bloccate o revocate le concessioni aveva portato a un aumento dei prezzi.
Sul futuro non vi è inoltre grande certezza, soprattutto considerando che al momento non è chiara la modalità con la quale verranno effettuate le nuove concessioni. Due, al momento, sembrano essere le soluzioni possibili:
- un semplice aumento dei canoni, con i detentori delle attuali concessioni che dovranno pagare di più delle irrisorie spese correnti per poter sfruttare parte del demanio dello Stato. Se tale procedura dovesse essere attuata in maniera generalizzata, non tenendo conto cioè delle differenze di ogni singola area, potrebbe con buona probabilità esserci un ulteriore rialzo dei prezzi; - un nuovo bando che tra i suoi criteri di assegnazione preveda elementi fondamentali come la qualità del servizio reso e l’evoluzione dei sistemi di tariffazione. In questo caso, secondo diversi pareri, la concorrenza leale potrebbe addirittura portare a una riduzione degli attuali prezzi degli stabilimenti.
In entrambe le soluzioni descritte, tuttavia, è necessario che venga rispettato il diritto dei titolari delle concessioni balneari, presenti e futuri, e dei clienti a pagare un prezzo equo e commisurato alla qualità dell’offerto.