Roma, 18 settembre 2017 - Un leasing per acquistare la macchina, un mutuo per la casa che copre il 90% del valore dell’immobile, una televisione comprata a rate. E strumenti da maneggiare con cautela come le carte revolving, carte di credito che consentono di effettuare acquisti senza considerare i fondi realmente disponibili sul conto corrente, ripagando il proprio debito poco per volta. Fino a pochi anni fa erano opzioni sconosciute per gli italiani, legati alla loro tradizione di solidi e attenti risparmiatori. Adesso, però, la crisi ha cambiato tutto: i redditi si abbassano ma non si rinuncia a consumare. Così, anche l’Italia è diventata un paese che vive a rate. Comprare attraverso forme di indebitamento è ormai la normalità. Ma, purtroppo, sono diventate normali anche tutte quelle situazioni di difficoltà che si riassumono in una parola: sovraindebitamento. Due numeri fotografano bene l’Italia di questi mesi. Secondo la mappa del credito realizzata da Crif, società che gestisce il principale sistema di informazioni sui finanziamenti del nostro paese, il 35,4% della popolazione italiana è indebitato e deve farsi carico di una media di 356 euro di rate ogni mese per fare fronte ai suoi debiti: rispetto all’anno scorso l’incremento è del 4,1 per cento. Questi debiti sono sempre più legati al credito al consumo piuttosto che ai mutui per la casa: solo un’operazione su cinque, ormai, riguarda le abitazioni. Segno di un cambio radicale di prospettiva per le famiglie italiane. L’esposizione verso banche e finanziarie per i pagamenti a rate di televisioni, cellulari, mobili, auto, computer, elettrodomestici nel 2016 ha toccato i 107,7 miliardi di euro (considerando mutui, prestiti finalizzati e personali). È un livello altissimo, se consideriamo che soltanto nel 2004 eravamo fermi a quota 57 miliardi. E spesso i debiti vengono utilizzati per ripagare altri debiti, in una spirale che non si chiude mai. Magari facendo ricorso alla cessione del quinto dello stipendio, sempre più utilizzata da chi ha bisogno di denaro. Il nostro paese, nel giro di un decennio, ha praticamente cambiato dna. Come spiega Roberta Paltrinieri, docente di sociologia dei consumi all’università di Bologna: «La crisi ha molto modificato il livello di consumi in Italia. La popolazione sta facendo ricorso a forme di indebitamento sconosciute in passato. Solo nel secondo dopoguerra abbiamo fatto ricorso al credito a questi livelli ma ormai quel modello sembrava superato». Il motivo è da ricercare nei redditi sempre più esigui. «C’è stato un calo degli stipendi mentre il costo della vita è aumentato. Così in un primo momento abbiamo abbassato i consumi, ma questo calo oltre un certo limite non poteva continuare. Allora, è cominciato il ricorso al credito». Un fenomeno sul quale «pesano anche le pressioni di pubblicità e marketing». E in futuro c’è il pericolo che questa tendenza diventi una patologia. «Nel giro di qualche anno potremmo avvicinarci al modello americano, quando questo ricorso all’indebitamento diventerà strutturale». Di sicuro, comunque, non bisogna fare terrorismo: non siamo ancora al livello degli Stati Uniti ma nemmeno di molti nostri vicini europei, come la Francia o la Germania. Il nostro livello di indebitamento resta basso, in confronto agli altri, come dicono chiaramente le mappe Datastream di Thomson Reuters. Il debito privato medio di un italiano (circa 20mila dollari per mutui e credito al consumo) è vicino a quello di Spagna e Portogallo, molto sotto Francia e Germania (intorno ai 30mila dollari) e nemmeno paragonabile a quello di paesi come Gran Bretagna (poco meno di 50mila dollari) o paesi scandinavi (quasi 100mila dollari per la Norvegia). Resta, però, il fatto che le nostre abitudini di consumatori negli ultimi anni sono radicalmente cambiate e che, andando in giro per i centri commerciali o su internet, i pericoli sono diventati moltissimi, come testimoniano alcune indagini dell’Antitrust o, peggio, diversi interventi della magistratura. Anche perché non tutti gli operatori del credito lavorano in maniera corretta. Qualcuno adotta un marketing aggressivo che nasconde l’elemento più importante per chi chiede un prestito: quanto bisognerà pagare a fine mese. In questo modo, è facile andare a sbattere. Qualche accorgimento può aiutare. Altroconsumo, ad esempio, mette a disposizione sul proprio sito un’applicazione che consente di verificare se il tasso di interesse applicato supera il limite dell’usura: «Ogni trimestre – spiegano dall’associazione di consumatori – la Banca d’Italia pubblica i tassi medi delle operazioni di finanziamento per la definizione del tasso usuraio. Questi tassi medi aumentati di un quarto a cui si aggiungono altri quattro punti percentuali rappresentano il tasso massimo oltre il quale scatta il reato di usura». Con un effetto interessante: quando si supera questo livello limite, i tassi sono considerati come non apposti. Si applica, invece, in automatico un tasso corrispondente ai Bot annuali emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Un maxisconto che potrebbe letteralmente salvare la vita di qualcuno.
EconomiaLavatrici, case e tv: l'Italia compra a rate