Venerdì 28 Febbraio 2025
Piergiacomo Sibiano*
Economia

L’energia nucleare italiana non è più un tabù

Il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che impegna il Governo a introdurre entro un anno la disciplina per tornare a realizzare centrali nucleari in Italia. Perché siano operative ci vorranno fra gli 8 e i 10 anni

L'Italia pensa di tornare ad avere centrali nucleari per produrre energia

L'Italia pensa di tornare ad avere centrali nucleari per produrre energia

Roma, 1 marzo 2025 – Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega che prevede l’assunzione da parte del Governo dell’impegno di introdurre entro un anno – con successivi decreti legislativi – la disciplina per la produzione di energia nucleare in Italia. Il nucleare non è più un tabù. È un bene? Decisamente sì.

Dal testo circolato anche nelle settimane precedenti, il legislatore sembra essere ben consapevole della situazione in cui ci troviamo:

  1. (in)sicurezza energetica, causata dalla oramai consolidata instabilità geopolitica; l’Italia, infatti, è tuttora molto legata alle importazioni per soddisfare la domanda di energia;
  2. abbiamo sfidanti obiettivi di decarbonizzazione, irraggiungibili con le sole tecnologie rinnovabili più diffuse, ovvero l’eolico e il fotovoltaico;
  3. le stime di un significativo e continuo incremento della domanda di energia, complice anche la nuova dirompente intelligenza artificiale i cui datacenter sono destinati a diventare veri e propri energivori.

La decisione è dettata anche dagli obiettivi che il paese di è dato con il PNIEC, ovvero arrivare a una percentuale di nucleare nel mix energetico all’interno di una forbice tra l’11% e il 22%. Teniamo presente che ad oggi il gas conta circa il 40% della generazione elettrica, ciò significa che il nuovo mix immaginato ridurrebbe significativamente il nostro bisogno di gas, vera e principale causa di un livello delle bollette che rimane decisamente alto rispetto al periodo pre Covid.

Quindi tra un anno bollette dimezzate? Macchè! Stiamo parlando del nucleare, i tempi di realizzazione non sono brevi (8-10 anni), ma è proprio per questo che bisogna partire. Il merito di questa mossa del Governo è di uscire dall’ingiustificato imbarazzo e porre un tema che oramai è l’elefante nel salotto, per usare una metafora americana: tutti sanno che il nucleare è l’unica via d’uscita se si vuole al contempo programmabilità (e quindi sicurezza energetica) e riduzione delle emissioni, ma nessuna mossa era stata fatta in questo senso dai tempi del referendum. Peccato che, nel frattempo, una bella fetta dei paesi europei è al lavoro su questo (Francia, Svezia, Finlandia, Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia), e sarebbe una mancanza imperdonabile rimanerne fuori. Anche perché si tratta di una fonte di energia pienamente considerata come ecosostenibile dall’Unione Europea nella sua tassonomia.

Cosa serve dunque per procedere? Oltre alla volontà politica – che pare finalmente esserci – occorrono anche risorse. Su questo il testo approvato ieri è invece di avviso diverso. Sancisce, infatti, che i decreti legislativi dovranno essere adottati senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Mi auguro che questa decisione sia figlia di una strategia che vuole affrontare i nodi uno alla volta: prima superare gli ostacoli politici e poi discutere delle risorse. Potrebbe essere una buona idea, ma poiché del nucleare abbiamo davvero bisogno credo i prossimi decreti debbano almeno rivedere il sistema di incentivazione elettrico, se si vuole inserire il nucleare nel mix energetico con una percentuale tra l’11% e il 22%.

Immaginiamo, ad esempio che – come spesso accade – il punto di caduta stia a metà, ovvero il 15%. In quel caso si tratterebbe di una produzione di energia di circa 50 TWh (contro i 75 TWh attuali delle sole rinnovabili).

Considerata la mole di incentivi dedicati alle rinnovabili, circa 10 miliardi l’anno, forse qualcosina occorrerebbe dedicare anche al nucleare se si vuol fare sul serio, fermo restando il principio approvato in Consiglio dei Ministri, ovvero che gli impianti non dovranno essere costruiti dallo Stato ma dagli operatori.

Inoltre, il tema della certezza del diritto e della velocità rimane centrale. I decreti legislativi dovranno indicare precisi requisiti che i progetti dovranno soddisfare, in modo che vi sia tra gli operatori una ragionevole certezza, laddove i suddetti requisiti siano soddisfatti, circa il buon esito dell’iter procedimentale. Diversamente, come l’esperienza insegna nell’ambito degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, quando non sono individuati con certezza e chiarezza i requisiti, i progetti rimangono impantanati in procedimenti lunghi anni (nonostante sulla carta gli iter dovrebbero durare poche settimane) e bloccati dai veti incrociati delle Amministrazioni locali.

* Vicepresidente dell’Associazion Lab-Ora