Camugnano (Bologna), 12 gennaio 2025 – Lo vedi appena scollini, il camino. La cupola appare subito a ruota in un paesaggio da cartolina, baciato dal sole tiepido d’inverno là dove i boschi ancora tinti di rosso incontrano le acque luccicanti del bacino del Brasimone. È la cattedrale incompiuta del nucleare, la centrale che non fu. Migliaia di metri cubi di cemento armato incastonati sull’Appennino bolognese cui il tempo, impietoso e inesorabile, non fa sconti. Doveva essere il fiore all’occhiello della ricerca nucleare in Italia, l’avamposto Enea di un Paese che negli anni ’70 correva ancora tra i grandi del mondo e puntava con la Francia a un programma sui reattori veloci, ma quella centrale – alla quale hanno lavorato fino a un migliaio di maestranze per erigerla e che nel 1985 contava 240 dipendenti Enea – non ha mai funzionato un giorno. Non è nemmeno mai stata finita, stoppata più o meno con una telefonata da Roma nel 1987, dopo che il Paese scelse con percentuali schiaccianti che l’Italia e il nucleare dovevano diventare rette parallele.
Quell’enorme incompiuta, che oggi mostra tutti i segni del suo mezzo secolo di vita, fu riadattata a nuovi usi, ad altri obiettivi di ricerca e gli scienziati non hanno mai smesso di lavorare nei suoi laboratori, seppure in numeri ridottissimi per un luogo divenuto dalla sera alla mattina sovradimensionato. Nel tempo si è affermato come centro d’eccellenza a livello internazionale per la ricerca in vari settori, tra i quali quello delle tecnologie energetiche sia a fusione che a fissione di nuova generazione, sviluppando la tecnologia dei metalli liquidi. E in questo ambito da un paio d’anni il centro ha trovato una consacrazione e con l’investimento di un privato – newcleo – che ci ha puntato una fiche da 75 milioni di euro in quattro anni. Un privato che è certo che il know-how di Enea sulla fissione e sul raffreddamento a piombo fuso sia la soluzione per realizzare centrali nucleari di quarta generazione, prodotte in serie, per sostituire quelle obsolete che stanno arrivando a fine vita.
“Una bella sfida”, ammette Mariano Tarantino, responsabile della divisione Sistemi nucleari per l’energia di Enea guardando la cosa da fuori. Lui, l’uomo della fissione, ha investito un’intera carriera sulla ricerca nucleare, calcolando i rischi correlati, simulando gli scenari più apocalittici. Numeri con un ’solo’ confine: qual è il rischio accettabile per un Paese? Chernobyl, Fukushima: il dibattito è sempre aperto nell’opinione pubblica mentre nella comunità scientifica e tra gli addetti ai lavori il tema della sicurezza si può risolvere rinunciando a quei sistemi di raffreddamento ad acqua dei reattori.
“Il piombo non reagisce a contatto con l’acqua e con l’aria, non lavora in pressione e ha una temperatura di fusione di 327 °C e di ebollizione di oltre 1700 – dice –, ecco perché lo consideriamo un refrigerante sicuro”. Quando il reattore si spegne e le pompe si arrestano, la rimozione della potenza residua sarebbe assicurata dalla circolazione naturale. Il piombo “garantirebbe naturalmente il raffreddamento del nocciolo e, col tempo, potrebbe anche congelare e racchiuderlo tutto”. Fin qui i calcoli, il rischio accettabile. “Per noi l’investimento di newcleo è come la chiusura di un cerchio – afferma –, l’ultimo tassello di un percorso cui ha contribuito con decisione Carlo Rubbia”. Un privato che investe in una tecnologia made in Brasimone, facendone la sua base per ricerca e sviluppo per oltre 10 anni, è perché considera quella tecnologia matura per l’industria. E per essere un business.
Entrare al Brasimone oggi è un viaggio nel tempo. L’ingresso di rappresentanza in legno, i cartelli che indicano l’ospedale interno, 17 corpi di fabbrica, 31mila metri quadrati di edifici della grandezza che non fu. “Il reattore Pec (prova elementi combustibili) fu fermato quando le opere civili erano state completate al 95% e quelle per il nucleare all’85% – va avanti –. Era appena arrivato il sodio (il fluido di raffreddamento, ndr), stivato nei silos. Il combustibile non ha fatto in tempo”. Tutto spento, via via smontato, in parte venduto anche all’estero. “La centrale raffreddata al sodio, come quelle su cui poi la Francia ha puntato, sarebbe comunque stata di sola ricerca – precisa Tarantino –: l’impianto al Brasimone avrebbe disperso l’energia tramite una serie di camini sottoforma di aria calda”. Oggi a Camugnano lavorano 30 ricercatori Enea che si occupano di fissione, altri 45 concentrati sulla fusione nucleare a confinamento magnetico e sulle applicazioni legate alla salute come la medicina nucleare. Ma gli ambiti di competenza del centro di ricerca sono più vasti e includono anche un’accademia per addestrare i piloti per il volo di droni in scenari critici.