Giovedì 26 Dicembre 2024
MADDALENA DE FRANCHIS
Economia

Birra e vino senza o con poco alcol. Aumentano i consumi nei Paesi Ue

Un mercato in crescita soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Francia e Germania

Boccali di birra (Foto di repertorio)

I segnali di crescita si vedevano già da tempo, ma la consacrazione definitiva è arrivata durante l’intervallo del Superbowl, la finale del campionato della National football league americana, tenutasi lo scorso febbraio. Tra gli spot pubblicitari che si sono susseguiti dopo la prima metà della partita – seguita da oltre 150 milioni di telespettatori in tutto il mondo – è comparso quello di Heineken 0.0, versione zero-alcool della birra prodotta dalla celebre multinazionale olandese. Il debutto di una bevanda non alcolica per adulti in una campagna pubblicitaria durante il Super Bowl è stato ritenuto dagli analisti una conferma della crescente sensibilità di pubblico e mercato per i prodotti ‘alcohol-free’. Proprio al mercato in evoluzione delle bevande ‘low/no alcohol’ - che si posizionano come alternative a bassa (o nulla) gradazione alcolica rispetto alle bevande alcoliche classiche - è dedicato il rapporto rilasciato nei giorni scorsi da Areté, azienda italiana specializzata nella valutazione di politiche per il settore agroalimentare. Lo studio è stato condotto per conto della Commissione europea.

Un mercato emergente in Europa e non solo

Negli ultimi anni è aumentata, in molti paesi del mondo, l'offerta di bevande senza alcol o con ridotto tenore alcolico, vendute e pubblicizzate come in grado di replicare l’esperienza di consumo di birra, vino e superalcolici e destinate a chi non può o non vuole bere la versione alcolica ‘classica’. Mentre il mercato delle birre analcoliche o a bassa gradazione è già piuttosto consolidato nella maggior parte dei paesi europei, quello degli altri prodotti ‘low/no alcohol’ è agli albori del suo sviluppo. Un mercato che Areté ha stimato per l’Ue in circa 2,5 miliardi di litri e 7,5 miliardi di euro, in gran parte coperto dalla birra. La parte ‘vino’ si attesta a 322 milioni di euro e quella degli alcoli – distillati e liquori senza alcol – a circa 168 milioni di euro.

I paesi Ue che trainano il mercato sono Francia, Spagna, Germania e Belgio (in totale, 84% del mercato Ue per i superalcolici e 91% del mercato Ue dei vini aromatizzati “low/no”); fuori dall’UE mercati vivaci sono soprattutto quello australiano e quello Usa, con un valore stimato rispettivamente di circa 2 miliardi e 1 miliardo di euro ciascuno. Se la birra è di gran lunga il prodotto più venduto, in alcuni paesi sta avanzando anche il consumo di vini dealcolizzati e versioni a gradazione ridotta dei distillati più diffusi, come gin e whiskey. Ciò è vero, ad esempio, in Francia - dove il vino a basso tenore di alcol ha raggiunto nel 2021 un valore di mercato stimato a 166 milioni di euro - e nel Regno Unito, primo mercato per le alternative ‘low/no alcohol’ ai superalcolici, con vendite per 98 milioni di euro.

Cosa accade in Italia

In Italia il mercato delle alternative a basso contenuto alcolico sta muovendo i primi passi e sembra meno evoluto rispetto a Paesi in cui vini dealcolizzati o alternative analcoliche al gin sono disponibili anche tra gli scaffali dei supermercati. Lo studio Areté stima in circa 8 milioni di euro il mercato italiano delle bevande “low/no” alternative ai superalcolici nel 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni di euro del mercato francese. Cifre ancora più scarne per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al vermouth, con vendite stimate in meno di un milione di euro. Se la cava un po’ meglio il vino (parzialmente) dealcolizzato, con un mercato nazionale stimato di circa 30 milioni di euro, nettamente indietro rispetto a Francia (166 milioni) e Germania (69 milioni). I dati Euromonitor international analizzati da Areté per lo studio fanno però intravedere previsioni di forte crescita nei prossimi anni (+23% di tasso di crescita medio annuo 2021-2026 per i superalcolici ‘low/no’), in linea con le aspettative di molti operatori, che vedono in questo mercato un enorme potenziale per raggiungere nuove categorie di consumatori (ad esempio, chi non beve alcolici per motivi religiosi) e allinearsi a trend di consumo ormai consolidati (in primis, la preferenza per prodotti più salutari).

Cosa dicono i consumatori

Grande spazio nello studio anche all’esperienza e alle aspettative dei consumatori, raccolte grazie a una indagine ad hoc, effettuata da Areté su oltre 5.500 rispondenti in 15 paesi Ue. Mentre la birra analcolica o a bassa gradazione è ormai familiare alla maggior parte dei consumatori, nei confronti delle versioni ‘low/no alcohol’ di altri alcolici fino a poco tempo fa prevaleva lo scetticismo, anche a causa della bassa qualità percepita di queste bevande. L’iniziale diffidenza pare però aver incentivato gli investimenti da parte dei produttori, con l’obiettivo di un miglioramento della qualità organolettica: sono state messe a punto nuove tecniche produttive, dirette ad aumentare la somiglianza di queste bevande alle controparti alcoliche. Di conseguenza, il 59% dei consumatori intervistati dichiara attualmente un atteggiamento generalmente positivo e di curiosità nei confronti di queste bevande in quasi tutti i principali mercati europei, mentre solo il 6% ha riferito una reazione negativa.

Insieme ai benefici per la salute (ai primi posti per il 31% dei rispondenti), la qualità del prodotto è considerato l'aspetto più importante, nonché il principale obiettivo degli investimenti e della ricerca dei produttori. Una bassa qualità percepita e la marcata differenza di sapore rispetto alla corrispondente bevanda alcolica sono citate come fattori in grado di scoraggiare il consumo per il 25%-30% dei consumatori interpellati (in media). Gli under 35, in particolare, paiono più attenti a stili di vita salutari e sono generalmente più inclini a provare prodotti nuovi (per esempio versioni zero-alcol dei distillati o dei vini aromatizzati), mentre tra i consumatori più adulti la birra analcolica o a bassa gradazione è il prodotto che suscita maggior interesse.

La normativa

Uno degli aspetti critici - con impatti anche sugli andamenti di mercato - è la normativa. A oggi non esiste una definizione di ‘bevanda alcolica’ nella legislazione alimentare dell'Ue e il quadro normativo per i prodotti di questa categoria può variare in modo significativo da un Paese all’altro e tra prodotti diversi, così come la possibilità di commercializzare versioni ‘alcohol free’ o a ridotta gradazione alcolica. Queste differenze diventano particolarmente evidenti soprattutto in tema di etichettatura e denominazioni di vendita autorizzate: mentre la possibilità di produrre (e commercializzare) vini dealcolizzati è stata introdotta dalla più recente riforma Pac del 2021, è attualmente vietato etichettare come gin, vodka o whiskey bevande che ne imitano il sapore, ma che hanno un tenore alcolico ridotto. Lo studio dedica ampio spazio proprio al tema dell’etichettatura, sul quale sarà necessario lavorare per garantire maggior chiarezza a consumatori e operatori, senza trascurare le istanze di chi vuole tutelare le produzioni tradizionali di bevande alcoliche, per le quali l’Europa è celebre in tutto il mondo.

Le conclusioni

"Guardando all’Ue nel suo complesso – spiega Enrica Gentile, project manager per il progetto e amministratore delegato di Areté - il mercato delle bevande ‘low/no’ diverse dalla birra è ancora in una fase iniziale di sviluppo in tutti i paesi membri, e le relative dinamiche sono ancora in evoluzione. Ma le attese per i prossimi anni sono di crescite complessive a due cifre, in particolare per vino e alcoli. In questo contesto sono di grande importanza l’innovazione tecnologica e di prodotto, ma anche la possibilità di avere un quadro normativo chiaro, a beneficio di consumatori e operatori del settore».

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