"Non basta la discesa dei tassi" a risollevare l’industria "in crisi" che ha tirato il freno a mano dell’economia italiana. L’allarme arriva da Confindustria, il cui presidente Emanuele Orsini, a un giorno dalla decisione sui tassi Bce da cui si attende un taglio da 0,25 punti, chiede alla banca centrale di "avere più coraggio e tagliare i tassi in modo più deciso". Il Consiglio direttivo, riunito da ieri sera nel grattacielo della Bce, arriva con un’agenda che divide i governatori fra falchi e colombe. Queste ultime in pressing per una politica monetaria che colga l’urgenza di una recessione industriale che dura da quasi due anni e ha come epicentro la crisi dell’auto in Germania e Italia. La decisione di oggi – quando arriveranno nuove stime sulla crescita in probabile peggioramento e conferme di un’inflazione ormai sotto controllo – è data quasi per scontata dagli investitori. Un taglio da 25 punti base, al 3%, del tasso sui depositi, anche se una minoranza ipotizza un taglio più vigoroso da 50. Al punto che il confronto fra le due anime della Bce guarda ormai al 2025, quando ci sarà da decidere se portare i tassi tuttora restrittivi a un livello ‘neutrale’ o, come chiedono le colombe, andare oltre in territorio espansivo.
È qui che si inserisce l’allarme di Confindustria, in un quadro di "elevata incertezza sul Pil italiano nel quarto trimestre" dopo la crescita zero del terzo, con l’industria "in crisi" e una produzione industriale in forte calo tendenziale a ottobre (-3,6%), particolarmente forte per auto (-34,5%), articoli in pelle (-17,2%), raffinati petroliferi (-15,8%). "Andare avanti con tagli dello 0,25 non è abbastanza – dice Orsini – Ci aspettiamo che a metà del prossimo anno il costo del denaro non sia più di 1,5%-1,7%, perché questo ha un impatto sul calo del nostro debito pubblico che, scendendo, può liberare risorse da investire".
L’allarme tiene conto del calo degli investimenti nonostante lo stimolo del Pnrr, ma anche dell’export, -0,7% nei primi nove mesi del 2024, che riflette un -2,2% per il Nordovest dell’Italia e un -1,8% per il Nordest. Nella testa di molti governatori, la crisi strutturale – non ciclica – dell’industria e dell’auto non si risolve certo con tassi più bassi. È frutto del caro-energia, del settore automotive che ha tardato a cogliere la sfida digitale e la transizione elettrica, problemi contro cui la politica monetaria non può agire.
Una posizione riassunta dalla consigliera esecutiva Isabel Schnabel: "La Germania è particolarmente esposta ai recenti shock perché è orientata all’export. Ma questi problemi strutturali vanno oltre la Germania, ecco perché l’Europa nel complesso deve ripensare il suo modello di business".
I dati macroeconomici, però, come già successo in passato, rischiano di mettere la Bce in prima linea come pompiere di fronte alla crisi dell’industria. Perché i rischi sono esacerbati dalla corsa ai dazi promessa da Trump, dall’instabilità geopolitica e anche di politica interna, come nel caso della Francia. E perché la leva dei tassi rischia di essere la risposta più immediata dell’Europa. Dove la Bce continua a rappresentare l’unica istituzione davvero ‘federale’, e dove, a dispetto degli appelli di governo e industria, la politica di bilancio e quella industriale rimangono saldamente in mano nazionale.