Domenica 24 Novembre 2024
PINO DI BLASIO
Economia

Banche rosse, vent’anni di crac

I pasticci Pd: da Banca 121 alla scalata Bnl fino a Mps-Antonveneta

L'ex presidente del Monte Paschi, Giuseppe Mussari

L'ex presidente del Monte Paschi, Giuseppe Mussari

Bologna, 24 dicembre 2015 - DA «Abbiamo una banca» (Piero Fassino dixit) a «avevamo una banca» (titoli sul Monte dei Paschi), da «fare il banchiere non era il mio mestiere» (Giuseppe Mussari) a «non era il tuo ma era il nostro» (striscione dei dipendenti Mps).

I venti anni di rapporti tra Pds-Ds-Pd e mondo delle banche sono riassumibili in quattro frasi, che fotografano l’essenza della questione: quando il Pd si è occupato di banche, spesso ha fatto pasticci e, in un paio di casi, disastri. Per questo l’intenzione del premier Renzi di allargare il lavoro della commissione d’inchiesta agli ultimi 20 anni di scandali bancari e non limitarla solo a BancaEtruria, non dirotterà troppo l’attenzione dalla galassia di casa. Gli strateghi della finanza rossa hanno sempre provato a baloccarsi con il manuale del piccolo banchiere. Disegnando poli finanziari, aggregazioni tra banche e coop e trovandosi inevitabilmente con un pugno di mosche e miliardi sprecati.

TUTTO cominciò con «i capitani coraggiosi» nel 1999, con l’acquisto di Banca agricola mantovana da parte di Monte dei Paschi. Lo stesso giorno in cui, sotto un tendone vicino al casello di Mantova, migliaia di soci della Bam accettavano l’offerta pubblica di acquisto lanciata da Siena, Roberto Colaninno (socio Bam) si presentò ai cronisti e annunciò la sua scalata a Telecom. Nacque l’epopea dei capitani coraggiosi, con D’Alema imperante a Palazzo Chigi, e con Mps pronta a diventare la cassaforte di Colaninno, di Emilio Gnutti e della razza padana di imprenditori arrembanti. Poi venne l’operazione più squisitamente rossa: l’acquisizione di Banca 121 da parte di Monte dei Paschi. Pagata 2.500 miliardi di lire, un vero salasso per quella che, per ammissione di un sindaco revisore del Monte (anche lui Pds), «era solo un’idea di banca». E con l’appendice di vedere il direttore generale della banca venduta, Vincenzo De Bustis, diventare il vertice dell’istituto acquirente. Con la benedizione, sempre, di D’Alema.

ERRARE È UMANO, perserverare è diabolico. Prende forma il progetto di un polo rosso della finanza, con Monte dei Paschi, la compagnia di assicurazioni Unipol, retta da Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, entrambi nel cda Mps, e la Hopa di Gnutti, che tentano la scalata alla Bnl. È l’operazione che spacca il partito in due o tre fazioni: da una parte i toscani, con Turiddo Campaini, vertice di Unicoop Firenze, che nega l’appoggio delle coop e di Mps alla scalata. Dall’altra i Ds romani, con gli alleati di Unipol intenzionati a contrastare il Banco di Bilbao e a lanciare l’opa su Bnl, mentre Fiorani della Popolare di Lodi, contrastava AbnAmro nella scalata ad Antonveneta. Risultato? Due fallimenti, un governatore di Bankitalia (Antonio Fazio) costretto a lasciare, una raffica di indagati e una frase al telefono pronunciata da Fassino, segretario Ds, «abbiamo una banca», che avrà l’effetto di una lapide sui sogni di gloria.

DUE ANNI dopo Antonveneta diventa la pietra tombale della banca rossa per eccellenza: il Monte dei Paschi. Impossibile riassumere in poche righe tutta la storia: basterà raccontare la famosa telefonata in una notte di novembre 2007 tra Giuseppe Mussari, presidente Mps iscritto al Pd, e Emilio Botin, presidente del Santander, nipote, figlio e babbo di banchieri. «O chiudiamo subito a 9 miliardi di euro, o apro un’asta su Antonveneta e chiedo un rilancio ai francesi» tuonò Botin, che aveva comprato da un mese quella banca a 6 miliardi. Lo sventurato (Mussari) rispose, e da lì iniziò la catastrofe per Mps. Un acquisto sciagurato, costato molto di più di 9 miliardi, che ha segnato la rovina di due istituti e della ricchissima fondazione del Monte. Anch’essa retta per un decennio da apprendisti banchieri del Pd. Sono solo i casi più eclatanti: ci sono altri episodi, a margine anche dei recenti crac delle quattro banche. Con esponenti del Pd complici, più o meno consapevoli, dei disastri finanziari commessi da altri (esempio, Banca Marche e dg Massimo Bianconi). Ma sono dettagli. In fin dei conti i crac sono tutti nelle regioni rosse.