Gli ambasciatori degli Stati presso l'Unione europea, come previsto, hanno deciso di rinviare l'adozione del regolamento sullo stop al 2035 per le auto e i furgoni a combustione interna a un prossimo Consiglio. Lo ha annunciato la presidenza di turno retta dalla Svezia precisando che “non è stata confermata alcuna data”.
Gli Stati contrari
Il regolamento concordato con il Parlamento europeo era già stato approvato in linea di principio con il voto contrario di Polonia e l'astensione della Bulgaria. A Polonia e Bulgaria si è ultimamente allineata l'Italia, che aveva finora dato il suo assenso. Restava la Germania in bilico: il partito liberale che fa parte della coalizione di governo ha frenato sulla decisione, aprendo un problema nella maggioranza, di cui fanno parte Spd e verdi. In sostanza si temporeggia nell'attesa che a Berlino il governo trovi una soluzione di compromesso all'interno della coalizione.
Il ruolo della Germania
Il regolamento che ora richiede un ulteriore passaggio per l’approvazione finale è frutto dell’accordo fra Consiglio ed Europarlamento, che l'ha approvato il 14 febbraio a maggioranza. Le posizioni contrarie di Polonia e Bulgaria erano note e sono state comunicate formalmente il 24 febbraio, mentre il voltafaccia del governo italiano, che precedentemente aveva indicato nelle sedi Ue il proprio parere favorevole, è stato comunicato lo scorso 28 febbraio.
La minoranza di blocco
Fin qui nulla di male, perché per una minoranza di blocco è necessario un “polo” di almeno quattro paesi. Il problema è sorto con il tentennamento della Germania, il cui governo appare al momento diviso: i liberali spingono per inserire una serie di condizioni a tutela dei biocarburanti, mentre Verdi e Spd sarebbero per un via libera allo stop del 2035. Ancora il 23 novembre la Germania, a livello di Coreper (ambasciatori presso la Ue) aveva votato a favore, come del resto l’Italia.
Sì all'auto elettrica, Francia capofila
Il ministro francese dell’Industria Roland Lescure ha invece confermato che la Francia sta lavorando per rispettare lo stop al 2035: “Stiamo lavorando sui dettagli per assicurarci che questo impegno comune entri in vigore quando dovrà essere in vigore: l'industria si sta organizzando per trovare il giusto percorso, ma questo dev'essere in linea con l’obiettivo che abbiamo deciso tutti insieme e che i consumatori e i nostri cittadini stanno aspettando”.
Obiettivo: ridurre la Co2
L’accordo raggiunto tra Consiglio e Parlamento Ue prevede un obbiettivo di riduzione - rispetto ai livelli del 2021 - delle emissioni di CO2 del 55% per le autovetture nuove e del 50% per i furgoni, da raggiungere entro il 2030. C’è poi l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 del 100% sia per le autovetture nuove che per i furgoni nuovi entro il 2035, che segna di fatto il definitivo passaggio alla mobilità elettrica.
Il ruolo dei combustibili neutri
L’accordo include un riferimento ai combustibili neutri in termini di emissioni di CO2 - tra cui l’idrogeno - e prevede che, previa consultazione dei portatori di interessi, la Commissione presenti una proposta che autorizzi l’immatricolazione di veicoli alimentati esclusivamente con combustibili neutri in termini di emissioni di CO2 anche dopo il 2035. La richiesta della Germania è che questa proposta sia elaborata subito.
Strada lunga
Nell’attuale accordo c’è anche una clausola di revisione in base alla quale, nel 2026, la Commissione valuterà in modo approfondito i progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100%, oltreché la necessità di rivedere tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi tecnologici e dell’importanza di una transizione sostenibile e socialmente equa verso l’azzeramento delle emissioni.
Perchè l'Italia è contraria
Il problema di fondo sul tema del passaggio all'elettrico è l'impreparazione dell'industria italiana dell'auto. I produttori tedeschi hanno reagito al dieselgate con imponenti piani di investimento sull'elettrico, beneficiando del connubio con il sistema cinese. Renault e Peugeot hanno nel tempo creato noccioli duri sull'elettrico che, adesso, costituiscono buone radici generative. Nella dinamica di Stellantis – nata dalla fusione formale e dall'annessione sostanziale di Fca a Peugeot – il sistema industriale nazionale italiano sconta invece un ritardo di trent'anni: la gracilità dei cicli d'investimento della Fiat negli anni ’90, la debolezza patrimoniale sua e di Chrysler e la sfiducia nel modello di business dell'elettrico di Sergio Marchionne hanno favorito lo svuotamento industriale del Paese di origine, l'Italia, dei suoi marchi, dei suoi centri di ricerca e delle sue fabbriche. Questo vale in ogni segmento e tanto più nell'elettrico.