Martedì 24 Dicembre 2024
Achille Perego
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Economia

Solo auto elettriche, i marchi cinesi preparano l’invasione. Filiera italiana a rischio

Per Confapi sono in pericolo quasi 200mila posti di lavoro. I costi della transizione verde si abbatteranno anche sulle famiglie. E c’è il problema colonnine di ricarica: sono meno di 37mila

Milano, 16 febbraio 2023 - La transizione green è inevitabile, ma la scadenza fissata dall’Europa per immatricolare dal 2035, tranne qualche eccezione, solo auto elettriche rischia di mettere a rischio la filiera italiana dei motori, incidere sui bilanci delle famiglie e dello Stato e aprire le porte all’invasione dei marchi cinesi.

L'allarme

Tutte le case automobilistiche europee hanno varato maxi piani di investimenti per la svolta elettrica e si sono imposte obiettivi ambiziosi e anche più ravvicinati rispetto al 2035. Ma, come ha avvertito Luca de Meo, Ceo del gruppo Renault e presidente dell’Acea, l’Associazione dei costruttori del Vecchio Continente, se la transizione ecologica non verrà gestita bene con il sostegno della Ue, l’Europa rischia di perdere la leadership nel settore dell’auto che coinvolge quasi 13 milioni di lavoratori. Anche perché i concorrenti hanno in mano carte vincenti come la leadership cinese nelle batterie e i quasi 400 miliardi di dollari di aiuti previsti dall’Inflation reduction act degli Stati Uniti che stimoleranno produzioni e investimenti al di là dell’Atlantico.

La ricarica di un’auto elettrica. Pechino è il più grande produttore di questi veicoli
La ricarica di un’auto elettrica. Pechino è il più grande produttore di questi veicoli

L'invasione cinese

Secondo uno studio della società di consulenze PwC entro il 2025 potrebbero essere vendute in Europa fino a 800mila auto prodotte in Cina da marchi locali (MG-Saic, Aiways, Byd, Chery, Xpeng, Nio) ma anche da case occidentali come Tesla, Bmw e Renault, la maggior parte delle quali elettriche. Così l’Europa si trasformerebbe da esportatore a importatore. Del resto sconta il gap nella produzione di batterie e microchip, le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime acuite dalla pandemia, e i maggiori costi produttivi mentre già quest’anno dalla Cina comincerà l’invasione di vetture elettriche tecnologicamente innovative e convenienti di fronte a un costo d’ingresso dei marchi europei – con soglie a partire da 30mila euro – non certo alla portata di tutti.

Italia fanalino di coda

La vendita di auto elettriche nel nostro Paese è ancora limitata con una quota che si è fermata nel 2022 al 3,7% contro il 14% della media europea e punte del 33% in Svezia, del 23% in Olanda, del 21% in Danimarca e del 18% in Germania, Finlandia e Svizzera. E c’è anche il problema della rete dei punti di ricarica, oggi solo 36.772 anche se 700 milioni del Pnrr dovrebbero servire per installarne altri 21mila.

L'allarme occupazione

Secondo uno studio di Clepa, l’associazione europea della componentistica, si perderanno 275mila posti di lavoro in Europa contro i 226mila previsti al 2040 per le produzioni dei sistemi elettrici. E in Italia, Paese con una filiera di piccole aziende esportatrici con un saldo attivo della bilancia commerciale di 5,5 miliardi andrà peggio con la stima di 73mila posti persi. Ma per Confapi ne sarebbero a rischio quasi il triplo (195mila) e oltre 2200 piccole imprese della componentistica.

Il fattore batterie

L’elettrico del resto è una tecnologia che comporta costi produttivi più alti, ma meno forza lavoro. Anche perché il 70% della creazione di valore è collegata alle batterie che vede lo strapotere della Cina. E se in Europa ci sono Paesi, a partire da Germania e Francia, molto più avanti nel creare le gigafactory delle batterie, l’Italia è in ritardo e per ora tra i grandi progetti annovera solo quello Stellantis di Termoli a regime nel 2026 con circa 2mila occupati. Per questo Federmeccanica e Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto di incentivare la riconversione della filiera e quindi il futuro degli stabilimenti specializzati nella "vecchia" componentistica da Pisa a Bari, da Ferrara e Pratola Serra fino a Chieti. ll fondo automotive prevede fino al 2030 investimenti per 8,7 miliardi compresi però i bonus per l’acquisto. C’è da scommettere che ne serviranno molti di più.