Mercoledì 17 Luglio 2024
MADDALENA DE FRANCHIS
Economia

Aumento dei tassi e inflazione: bruciati 693 miliardi di risparmi delle famiglie

L’effetto reale della politica monetaria attuata dalla Bce secondo un nuovo focus realizzato da Censis per Confcooperative

Roma, 29 luglio 2023 – Una perdita del potere d’acquisto delle famiglie pari a 100 miliardi di euro solo nel 2022 e quasi 700 miliardi di risparmi andati in fumo: sarebbe questo, secondo un nuovo focus realizzato da Censis per Confcooperative, l’effetto reale della politica monetaria finora attuata dalla Banca centrale europea per contrastare l’inflazione attraverso l’aumento dei tassi di interesse. E l’impatto sarebbe stato ancor più devastante senza gli interventi governativi.

Cala il potere d'acquisto
Cala il potere d'acquisto

Secondo le analisi operate dall’ufficio parlamentare di bilancio, infatti, l’ammontare delle misure a favore di famiglie e imprese (riduzione delle accise sui carburanti, bonus sociali, esoneri contributivi, crediti d’imposta) ha raggiunto i 119 miliardi di euro: 5,6 miliardi nel 2021, 70 miliardi nel 2022, 35,1 nel 2023. Altri 8,2 miliardi avranno corso nel biennio 2024-2025.

Bruciati in un anno quasi 700 miliardi di ricchezza delle famiglie

Gli italiani, dunque, fanno i conti con i tassi di interesse: l’esito combinato dell’impennata dell’inflazione e dell’innalzamento dei tassi si aggiunge alla riduzione in termini reali della ricchezza netta delle famiglie: a tal proposito, il focus registra un saldo tra le consistenze attive e quelle passive inferiore di 693 miliardi di euro nel 2022 rispetto all’anno precedente (-14,4%). Parallelamente, crescono gli interessi da corrispondere sul debito, balzato a 2.817 miliardi di euro (dato aggiornato a maggio 2023). La spesa per interessi potrebbe attestarsi, dunque, intorno ai 100 miliardi di euro, da corrispondere sul debito entro il 2026 (40 miliardi in più rispetto al 2020).

Potere d’acquisto ridotto di 100 miliardi

I cambiamenti nei comportamenti di spesa delle famiglie, alla luce dell’aumento dei tassi d’interesse (oltre 200 punti base nel caso di mutui per l’acquisto di abitazioni; oltre 300 punti base nel caso di operazioni di finanziamento alle imprese), sono notevoli. Dall’emergenza per il caro bollette, per ora rientrata, si è passati, senza soluzione di continuità, al preoccupante rincaro di tutto ciò che si presenta come spesa difficilmente sostituibile, come il cibo e i generi di prima necessità. In termini reali, fra il 2021 e il 2022, la diminuzione del potere d’acquisto, corretta con l’inflazione passata, è superiore ai sette punti percentuali. In termini assoluti, il reddito lordo disponibile delle famiglie si è ridotto di 100 miliardi di euro, in media almeno 3.800 euro a famiglia.

Gli effetti sul mercato immobiliare

Il clima sfavorevole rispetto alle decisioni di acquisto e investimento da parte delle famiglie è confermato dall’andamento del mercato immobiliare in Italia. Secondo i dati diffusi dal Consiglio nazionale del notariato, rispetto allo scorso anno si registrerà una riduzione del 17,1% delle compravendite di case fra privati e del 2,5% delle compravendite delle seconde case fra privati. In generale, per quanto riguarda i fabbricati abitativi, il ridimensionamento delle decisioni di acquisto si attesta intorno all’11%. Tutto ciò comporterebbe un crollo del 10,1% delle richieste di mutui per l’acquisto di abitazioni e del 9,6% nel caso in cui i mutui richiesti siano compresi fra i 50.000 e i 150.000 euro. In questo contesto occorre ricordare che in Italia, su un totale di 25 milioni e 600 mila famiglie, 18,2 milioni sono proprietarie dell’abitazione in cui vivono (il 70,8%, dati al 2021). Di queste, al momento, 3,3 milioni di famiglie (il 12,8% sul totale) sono impegnate con un mutuo da pagare e, all’interno di questa componente, circa 700mila (pari a una famiglia su 5) hanno già mostrato difficoltà, ritardando il pagamento di almeno una rata mensile.

L’impatto sulle imprese

Le imprese incontrano nuove difficoltà nell’accesso al credito, sebbene ancora in maniera contenuta. A marzo di quest’anno, rispetto a marzo dello scorso anno, i prestiti alle imprese del settore manifatturiero si sono ridotti dell’1,5%, nelle costruzioni dell’1,3%. Più ampia è la differenza che separa l’accesso al credito delle piccole imprese da quello delle imprese medio-grandi: per queste ultime, la riduzione nel periodo è stato di sei decimi di punto, mentre per le prime ha raggiunto il 4,4%. Il focus elaborato da Censis mette in evidenza anche una differente applicazione dei tassi di interesse rispetto a diverse tipologie di impresa. Prendendo in considerazione le attività ‘a rischio’, nel 2022 la differenza fra i tassi applicati a una microimpresa e quelli applicati a una grande impresa supera i due punti e mezzo percentuali (6,5% per le prime, 3,9% per le seconde); mentre, fra le aziende ritenute ‘in buona salute’, lo spread a scapito delle più piccole risulta pari a 3,7 punti.