Roma, 25 luglio 2024 – La Commissione europea deferisce l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Il motivo? L’assegno unico. Secondo l’Europa infatti questa prestazione sociale deve essere garantita a tutti i cittadini europei che lavorano in Italia. Cosa che attualmente non avviene. L’assegno unico universale (misura che ha sostituito gli assegni familiari che erano riconosciuti solo ai lavoratori dipendenti), infatti, viene attualmente riconosciuto solo ai cittadini europei che risiedono nel nostro Paese da almeno 2 anni.
Dunque la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia dell’Ue "per non aver rispettato i diritti dei lavoratori mobili di altri Stati membri dell'UE per quanto riguarda le prestazioni familiari loro concesse". Il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori mobili costituisce una discriminazione e viola il diritto dell'UE sul coordinamento della sicurezza sociale – regolamento (CE) n. 883/2004 – e sulla libera circolazione dei lavoratori – regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 della Trattato sul funzionamento dell'Unione europea –.
La Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora all'Italia nel febbraio 2023, a cui ha fatto seguito un parere motivato nel novembre 2023. Poiché la risposta dell'Italia non è stata ritenuta sufficientemente esaustiva, la Commissione ha ora deciso di deferire il caso alla Corte di giustizia dell'Unione Europea.
L'Italia ha introdotto nel marzo 2022 un nuovo regime di assegni familiari per figli a carico ('Assegno unico e universale per i figli a carico'). In base a tale regime non hanno diritto a ricevere l'indennità i lavoratori che non risiedono da almeno due anni in Italia, o i cui figli non risiedono in Italia.
La Commissione ritiene che questo regime non sia compatibile con il diritto dell'UE poiché discrimina i lavoratori mobili dell'UE. Uno dei principi fondamentali dell'UE è che le persone siano trattate allo stesso modo senza alcuna distinzione basata sulla nazionalità.
Seguendo questo principio di base, i lavoratori mobili dell'UE che contribuiscono allo stesso modo al sistema di sicurezza sociale e pagano le stesse tasse dei lavoratori locali hanno diritto alle stesse prestazioni di sicurezza sociale.
Secondo il principio della parità di trattamento, i lavoratori mobili dell'UE che lavorano in Italia senza risiedervi, quelli che si sono trasferiti in Italia solo di recente o quelli i cui figli risiedono in un altro Stato membro, dovrebbero ricevere gli stessi benefici familiari degli altri lavoratori in Italia. Inoltre, il principio dell'esportazione delle prestazioni contenuto nel regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come le prestazioni familiari.
La questione passa dunque alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Qualora la Corte sentenziasse che l’Italia deve riconoscere l’assegno unico anche ai lavoratori Ue residenti nel Paese da meno di due anni, a quel punto la decisione sarebbe vincolante (tutti i paesi membri della Ue sono tenuti a rispettare le sentenze) e dovrebbe riconoscere l’assegno unico. Non solo. Le decisioni della Corte hanno, in genere, valore retroattivo. L’Italia potrebbe essere dunque tenuta a pagare “gli arretrati” a chi non li ha ricevuti dalla sua istituzione: 1 marzo 2022. Una situazione che potrebbe comportare per le Casse dello Stato delle uscite finanziarie non previste nei prossimi anni.