Sabato 21 Dicembre 2024
REDAZIONE ECONOMIA

Anidride carbonica sotto il mare Il progetto Eni nell’Adriatico

La CO2 di scarto potrebbe essere raccolta in giacimenti esauriti. Ma gli ambientalisti non ci stanno

L’anidride carbonica raccolta dalle imprese potrebbe presto essere stoccata sotto il mare, nei giacimenti esauriti di idrocarburi. È il progetto sul quale è al lavoro l’Eni al largo della coste romagnole. Un argomento sul quale si sono già accesi i riflettori degli ambientalisti.

Mercoledì prossimo, in concomitanza con l’assemblea dell’Eni, Fridays For Future, il movimento dei giovani per il clima di Greta Thunberg, ha organizzato una manifestazione a Ravenna contro il progetto. Lo stoccaggio sottoterra del carbonio è da sempre avversato dagli ambientalisti, quindi la protesta potrebbe ottenere un ampio appoggio.

Dall’altra parte però, l’Eni sostiene che l’impianto è sicuro, riduce le emissioni di gas serra e crea occupazione. La compagnia energetica vuole pompare la CO2 di scarto da produzioni industriali in alcuni suoi giacimenti offshore esauriti.

In Italia ogni anno vengono emesse 70-80 milioni di tonnellate di anidride carbonica (principale responsabile del riscaldamento globale) da raffinerie, fabbriche di acciaio, cemento, fertilizzanti, carta. Sono i cosiddetti settori "hard to abate", quelli più difficili da decarbonizzare. Per spingere le aziende a "ripulire" le loro produzioni, l’Unione europea ogni anno alza le imposte sulla CO2, attraverso il sistema di scambio di quote di emissioni Ets. Decarbonizzare diventa sempre più un’esigenza di bilancio, e per la Ccs (Carbon Capture and Storage) si apre un mercato appetibile. L’Eni sta già realizzando un impianto di stoccaggio del carbonio in giacimenti esauriti nella baia di Liverpool, per decarbonizzare il locale distretto industriale.

Un progetto cofinanziato dal governo inglese, che vuole realizzare sette impianti di questo tipo. A Ravenna Eni vorrebbe fare lo stesso, con un investimento di un miliardo di euro e la promessa di notevoli ricadute occupazionali. I giacimenti potrebbero ricevere 2,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, aumentabili a seconda del mercato, e hanno una capacità complessiva stimata di 500 milioni di tonnellate. La società sostiene che l’impianto è sicuro: a suo dire i giacimenti esauriti a 3-4.000 metri di profondità sono ottimali per la CO2, perché hanno contenuto idrocarburi per milioni di anni, sono isolati da strati di terreno impermeabili e non presentano rischi sismici.

Gli ambientalisti, e i ragazzi di Fridays For Future, la pensano diversamente. Per loro, la Ccs è solo un sistema per continuare a usare combustibili fossili e rallentare il passaggio alle energie rinnovabili. Inoltre, lo stoccaggio di CO2 sottoterra presenterebbe rischi di perdite in caso di terremoti.